La carta d’identità del cristiano

Nello stadio di Malmö il papa individua nuove beatitudini per raggiungere la santità nell'unità
Il papa nello stadio di Malmo

La giornata non promette bene. Uggiosa, piove e un vento freddo spira dal mare. Arrivo allo Swedbank Stadion su un vociante pullman della comunità ispanica di Stoccolma a cui ho chiesto un passaggio. Dal Messico al Cile, passando per Nicaragua, Bolivia, Colombia, tutti i Paesi dell’America Latina di lingua spagnola sono rappresentati. Alcuni vivono anche da 40 anni in Svezia, ma non hanno perso l’allegria sudamericana, ridono, scherzano, sono di buon umore. L’occasione è storica, papa Francesco incontra la comunità cattolica svedese. È uno di loro. Anche oggi parlerà la loro lingua. Su 115 mila cattolici svedesi, i migranti sono la stragrande maggioranza. Un piccolo mondo riunito allo stadio dove la squadra del Malmö gioca le sue partire interne. Ricordate un certo Zlatan Ibrahimović? Lo stadio scopre i suoi vessilli. Bandiere dei Paesi limitrofi: Finlandia e Norvegia. Bandiere del resto del mondo, soprattutto dove i cattolici sono numerosi: Messico, Argentina, Brasile, Croazia, Spagna. Bandiere dei nuovi profughi: Siria e Iraq. Arrivano da tutta la Svezia e hanno viaggiato in bus, treno e auto. Molti hanno soggiornato a Malmö la notte prima perché le distanze sono notevoli.

 

 

Fermo una signora convinto sia svedese. È polacca, ma i suoi tre figli sono nati in Svezia. Gli chiedo se avvertono di essere una piccola minoranza. Risponde la figlia più grande, ancora adolescente: «Non ho esperienze di altri Paesi dove il cattolicesimo è maggioranza, però sì, mi sento minoranza, ma non riesco ad esprimere cosa significhi». Un giovane cileno, robusto e barbuto esprime le sue perplessità sul dialogo ecumenico e non capisce «perché il papa non parli mai di Maria con i luterani». Il suo parroco, un francescano boliviano, mi spiega che occorre un lungo lavoro per cambiare la mentalità. Agli ingressi giovani cattolici distribuiscono un opuscolo che si apre con questo interrogativo: «Perché noi cattolici dovremmo celebrare Martin Lutero quando la sua rivolta si è basata sull’odio della nostra fede?». Dentro lo stadio incontro anche vietnamiti, filippini, cinesi. Una coppia è così formata: lei è svedese, lui è messicano, hanno due figlie. «Penso sia una cosa buona – commenta la signora – mettere in evidenza le similarità con i luterani invece che le differenze». Un giovane eritreo proviene da Varberg, una città situata 200 chilometri a Sud di Göteborg. «Noi cattolici siamo solo l’1% ma abbiamo trovato una società aperta e dei luterani molto accoglienti. Oggi è un giorno importante per l’ecumenismo».

 

Alle 9 e 30 entra il papa su una camionetta scoperta. Non piove più. L’entusiasmo è alle stelle. Dopo un breve tratto il papa scende e saluta senza risparmiarsi tutti quelli che riesce. Dalle gradinate che arrivano fino a bordo campo senza nessuna barriera di protezione urlano: “Mira acá!”, “Guarda qui!”. Dopo 15 minuti e un ultimo saluto ai sacerdoti comincia la Messa in latino, spagnolo, svedese e con l’omelia tradotta sugli schermi anche in inglese.

 

Il discorso del papa è intenso e profondo. Commenta la festa di tutti i santi, ma la mette in relazione con l’esperienza di questi giorni. Parla della santità della vita quotidiana e individua nella felicità la caratteristica dei santi che nasce dal vivere le beatitudini, in particolare la mitezza come mezzo per costruire l’unità. «La mitezza è un modo – dice il papa – di essere e di vivere che ci avvicina a Gesù e ci fa essere uniti tra di noi; fa sì che lasciamo da parte tutto ciò che ci divide e ci oppone, e che cerchiamo modi sempre nuovi per progredire sulla via dell’unità». I veri cambiamenti si ottengono solo con la mitezza del cuore perché è l’atteggiamento di chi non ha nulla da perdere. E declina una carta d’identità del cristiano basata su nuove situazioni in cui vivere le beatitudine evangeliche. «Beati coloro che sopportano con fede i mali che altri infliggono loro e perdonano di cuore; beati coloro che guardano negli occhi gli scartati e gli emarginati mostrando loro vicinanza; beati coloro che riconoscono Dio in ogni persona e lottano perché anche altri lo scoprano; beati coloro che proteggono e curano la casa comune; beati coloro che rinunciano al proprio benessere per il bene degli altri; beati coloro che pregano e lavorano per la piena comunione dei cristiani». Le nuove sfide di oggi che diventano fonte di nuova felicità per raggiungere “la santità nell’unità”.

 

 

 

 

 

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