La Caritas in veritate e i silenzi della dottrina sociale
Proponiamo uno stralcio dell'ampia intervista pubblicata in "Nuova Umanità", numero 184/185.
Jean-Yves Calvez è nato nel 1927 a Saint-Brieuc, in Bretagna (Francia). Membro della Compagnia di Gesù, è filosofo e teologo. La sua opera più conosciuta è Il pensiero di Karl Marx che, tradotto in numerose lingue, è stato un punto di riferimento fondamentale nel dibattito sul marxismo nel secondo dopoguerra. Attualmente dirige il Dipartimento di Etica pubblica del Centre Sévres d’Etudes philosophiques et théologiques (Parigi), insegna all’Institut Catholique (Parigi), è membro del Ceras (Centre de recherche et d’action sociales des Jésuites de France). Proponiamo uno stralcio dell’ampia intervista pubblicata in "Nuova Umanità"…
Prof. Calvez, la dottrina sociale cristiana è all’altezza delle odierne problematiche economiche?
Sì, quanto ai principi e alle intuizioni di base. Però non ha osato molto nel mettere in questione il sistema economico.
È il «silenzio della dottrina sociale» di cui lei ha scritto?
È uno dei silenzi.
E gli altri?
Hanno a che fare col futuro del lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia, con la gestione dell’economia capitalistica. La dottrina sociale cristiana si estende anche al terreno politico; e qui credo che ci sia, in questo momento, una certa debolezza della dottrina sociale quanto alla pressione sulla democrazia. C’è una critica molto recente alla democrazia, che anche Giovanni Paolo II svolgeva, parlando di una democrazia «senza valori»; è una critica che ha la sua ragione di essere, però rischia di essere solo distruttiva, non dice molto di positivo. Credo che dovremmo riprendere questa analisi, con grande libertà di spirito.
La recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritatem risponda a queste esigenze?
Con questa enciclica Benedetto XVI restituisce all’insieme dell’insegnamento di Paolo VI una freschezza che, in molte coscienze, non aveva più conosciuto da tanto tempo. Non aveva avuto questo peso sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. L’insegnamento di Paolo VI rivive chiaramente, con tutto un capitolo consacrato al commento, all’approfondimento della Populorum progressio, senza che siano dimenticate la Humanae vitae, da una parte, e l’Evangeli nuntiandi (il grande testo sull’evangelizzazione e la liberazione) dall’altra.
Qual è il significato di “carità nella verità”, che rovescia l’espressione dell’apostolo Paolo sulla “verità nella carità”?
Per Benedetto XVI si tratta di un punto di vista complementare: la carità si dispiega secondo la verità, verità delle cose e delle situazioni, struttura imprescrittibile dell’essere umano e sociale. È una visione che sicuramente completa o esplicita ciò che Paolo VI insegnava sullo sviluppo umano integrale. L’uomo non può compiere qualunque scelta, perché proprio lui è l’oggetto di una chiamata venuta da lontano, trascendente. Lo sviluppo è così un compimento, il compimento di una “vocazione”, di cui giustamente parla Paolo VI.
Quali temi trattati nell’enciclica l’hanno maggiormente colpita?
L’enciclica pone al centro l’idea di sviluppo, alla quale restituisce tutta la sua nobiltà. Ma si occupa di molti altri argomenti. Tra questi, il rapporto tra mercato e “dono” è un soggetto che colpisce, associato alla questione della fraternità che può e deve dispiegarsi nella società civile, nella quale il papa ripone fiducia, sostenendo, al tempo stesso, la rivalorizzazione del ruolo dello Stato. Ma sottolineerei ancora la definizione dell’«amore nella verità», che per il papa è «la forza dinamica del vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera». Il papa intende evitare che l’amore si riduca ad un sentimento qualunque, a qualche cosa di indistinto, di una totale relatività. Così «l’amore è tutto», dice Benedetto XVI, e pertanto «non si ama veramente che secondo la verità».
Sì, quanto ai principi e alle intuizioni di base. Però non ha osato molto nel mettere in questione il sistema economico.
È il «silenzio della dottrina sociale» di cui lei ha scritto?
È uno dei silenzi.
E gli altri?
Hanno a che fare col futuro del lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia, con la gestione dell’economia capitalistica. La dottrina sociale cristiana si estende anche al terreno politico; e qui credo che ci sia, in questo momento, una certa debolezza della dottrina sociale quanto alla pressione sulla democrazia. C’è una critica molto recente alla democrazia, che anche Giovanni Paolo II svolgeva, parlando di una democrazia «senza valori»; è una critica che ha la sua ragione di essere, però rischia di essere solo distruttiva, non dice molto di positivo. Credo che dovremmo riprendere questa analisi, con grande libertà di spirito.
La recente enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritatem risponda a queste esigenze?
Con questa enciclica Benedetto XVI restituisce all’insieme dell’insegnamento di Paolo VI una freschezza che, in molte coscienze, non aveva più conosciuto da tanto tempo. Non aveva avuto questo peso sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. L’insegnamento di Paolo VI rivive chiaramente, con tutto un capitolo consacrato al commento, all’approfondimento della Populorum progressio, senza che siano dimenticate la Humanae vitae, da una parte, e l’Evangeli nuntiandi (il grande testo sull’evangelizzazione e la liberazione) dall’altra.
Qual è il significato di “carità nella verità”, che rovescia l’espressione dell’apostolo Paolo sulla “verità nella carità”?
Per Benedetto XVI si tratta di un punto di vista complementare: la carità si dispiega secondo la verità, verità delle cose e delle situazioni, struttura imprescrittibile dell’essere umano e sociale. È una visione che sicuramente completa o esplicita ciò che Paolo VI insegnava sullo sviluppo umano integrale. L’uomo non può compiere qualunque scelta, perché proprio lui è l’oggetto di una chiamata venuta da lontano, trascendente. Lo sviluppo è così un compimento, il compimento di una “vocazione”, di cui giustamente parla Paolo VI.
Quali temi trattati nell’enciclica l’hanno maggiormente colpita?
L’enciclica pone al centro l’idea di sviluppo, alla quale restituisce tutta la sua nobiltà. Ma si occupa di molti altri argomenti. Tra questi, il rapporto tra mercato e “dono” è un soggetto che colpisce, associato alla questione della fraternità che può e deve dispiegarsi nella società civile, nella quale il papa ripone fiducia, sostenendo, al tempo stesso, la rivalorizzazione del ruolo dello Stato. Ma sottolineerei ancora la definizione dell’«amore nella verità», che per il papa è «la forza dinamica del vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera». Il papa intende evitare che l’amore si riduca ad un sentimento qualunque, a qualche cosa di indistinto, di una totale relatività. Così «l’amore è tutto», dice Benedetto XVI, e pertanto «non si ama veramente che secondo la verità».
A cura di Antonio Maria Baggio