La carica dei malati immaginari
Nel corso degli ultimi diecimila anni della storia dell’umanità, la differenza tra sano e malato è sempre stata abbastanza chiara. La nostra odierna società scientificotecnologica sta però rendendo incerto anche questo concetto: il termine inglese unpatients viene ormai usato per indicare una nuova categoria di persone, che non sono “pazienti” in senso stretto in quanto non ricevono alcuna cura, ma non sono nemmeno completamente sani perché vivono condizioni “di attenzione” dal punto di vista medico. Cerchiamo di capire meglio chi sono questi “malati immaginari”, come sono stati subito ribattezzati, visto che la cosa potrebbe interessarci tutti molto presto. In Italia ogni hanno le persone che si sottopongono a test genetici aumentano del 40 per cento! Con questo termine si indicano vari tipi di esami che, attraverso l’analisi di un gene o di un suo prodotto o funzione, cercano di capire se un paziente ha una determinata malattia (test diagnostici), o se ha la probabilità di svilupparla ad un certo punto della sua vita, visto per esempio che appartiene ad una famiglia a rischio (test presintomatici), o semplicemente se e quanto una persona è resistente o sensibile ad una delle tante malattie comuni (test predittivi). Quando l’esame viene fatto ad una grossa parte della popolazione, si parla di screening, e si cerca di individuare per esempio i portatori che potrebbero trasmettere una malattia ai figli (es. talassemia nel Mediterraneo). Di tutti i test richiesti in Italia, più di un terzo sono predittivi, ma in realtà predicono molto poco perché quello che viene misurato dal test è solo una piccola componente di tutto il contesto, che potrebbe, forse, solo in determinate condizioni, portare effettivamente alla malattia. Per esempio nel caso della malformazione genetica che predispone al tumore del seno, ad alcune donne talora viene consigliata la mutilazione chirurgica, e questo di fronte alla semplice possibilità futura di malattia stabilita con un test la cui attendibilità non va oltre il 65 per cento! Il problema è che, all’aumentare della facilità con cui questi test vengono consigliati e/o richiesti, è più difficile dare una informazione corretta e preventiva alle persone: un test genetico non è un esame come gli altri. Innanzitutto perché si possono verificare errori di laboratorio, visto che mancano ancora adeguati controlli di qualità. Poi perché la maggior parte delle malattie genetiche sono causate da errori presenti in più geni contemporaneamente, e in questo caso l’influenza dell’ambiente è decisiva per decidere se la malattia si presenterà o no durante la vita della persona. E infine perché le informazioni genetiche normalmente non hanno un significato sicuro, chiaro e univoco. Va sottolineato poi che tutti siamo imperfetti, abbiamo qualche gene anormale, siamo portatori di fattori di sensibilità a qualche malattia e così via. Non esiste un genoma “normale”. E tutte le malattie dipendono dal nostro stile di vita, dall’ambiente in cui viviamo e dalla predisposizione genetica. Con questi esami invece au- menta il rischio di identificare noi stessi, e quello che siamo e valiamo, solo in termini genetici. Il risultato potrebbe essere un mondo pieno di persone con predisposizioni a malattie che non verranno mai, ma che intanto sviluppano patologie psico-sociali per la paura di quello che potrebbe accadere. Gli scienziati e i ricercatori più sensibili ed attenti sono preoccupati per la facilità e superficialità con cui oggi si diffondono queste pratiche. La notizia di una malattia genetica che potrebbe manifestarsi in futuro può minare la stima di sé di un individuo e impattare negativamente anche sulla sua famiglia. Ci può essere rimpianto per essersi sottoposto al test. Soprattutto per i minori, fare il test significa togliergli il diritto di decidere da adulto se fare o no l’esame e se rivelare il risultato agli altri, così come impedirgli un rapporto sereno in famiglia. Questi test possono arrivare a togliere ad un individuo la capacità di immaginare un futuro felice e ridurre gli scenari di vita che egli ritiene possibili per sé. Anche la diagnosi prenatale, con soppressione dell’embrione in caso di test negativo, rientra nel discorso. La persona disabile, come ogni altra persona, ha una immagine di sé che non è necessariamente quella che la società tende ad assegnargli; non può essere la società che decide quale vita è degna di essere vissuta e quale no. Per non parlare poi dei rischi legati alla diffusione incontrollata dei dati genetici di una persona (ad esempio presso assicurazioni, datori di lavoro, aziende farmaceutiche), o della loro raccolta presso grandi banche dati il cui controllo è quasi impossibile per il paziente finale. L’invasività della medicina si sposa in questi casi con l’interesse economico e può portare ad un maggiore controllo sociale, cioè ad una crescente intrusione nella vita dei singoli. Il problema non è più quindi solo etico, cioè di consenso informato del cittadino, ma di politica della scienza, con le necessarie e vincolanti regole su brevettabilità e commercio di derivati del genoma umano. Contrastare la banalizzazione di questi test genetici non significa quindi diminuirne l’importanza e l’utilità; bensì sottolineare che bisogna valutare caso per caso, nel rispetto della dignità delle persone, e seguendo regole precise (vedi riquadro). In questo sforzo di attenzione alle nuove implicazioni della genetica nella nostra vita, per fortuna siamo aiutati dal fatto che le scelte umane e la nostra vita non seguono normalmente la logica della statistica per decidere cosa vale e cosa no. Siamo ancora persone libere. REGOLE PER CONVIVERE CON LA GENETICA La persona va preparata, perché sta per cambiargli la vita. L’esame va fatto nell’ambito di processo graduale deciso insieme, dal paziente con il suo medico. Soprattutto l’esame va fatto solo se c’è un pericolo per il paziente che lo giustifica, sono chiari i criteri di ammissione all’esame e infine se il test serve a qualcosa, cioè se ci sono cure efficaci in caso di diagnosi di malattia. Le informazioni genetiche sono di proprietà della persona la loro comunicazione a terzi deve avvenire solo per motivi di emergenza esattamente definiti e previo consenso informato del paziente. Uno stato non può autorizzare la brevettabilità e o la vendita dei dati genetici dei propri cittadini.