La Cappella dell’uomo
Ci si sente diversi dopo aver visitato la suggestiva Capilla del hombre di Osvaldo Guayasamin a Quito, in Ecuador
La Capilla del hombre – la Capella dell’uomo – è comunemente definita uno spazio architettonico, creato dal grande artista ecuadoriano Osvaldo Guayasamin a partire dal 1996. È situata su una delle pendici della capitale, a pochi passi dalla casa dell’artista, rimasta l’ultima della località Bellavista, da cui si ha uno scorcio davvero mozzafiato su Quito, sul Pichincha e sul Cotopaxi, due dei vulcani che circondano la capitale del Paese sud-americano.
La visita alla Capilla del hombre non è tanto ad una galleria d’arte, sia pure di altissima qualità, ma lascia l’impressione di essere entrato nel cuore dell’uomo, condotti per mano da Guayasamin stesso per toccare la sofferenza in tutte le sue sfumature: angoscia, disperazione, fame, violenza, paura, lutto, lacrime, solitudine, oppressione, abbandono, rifiuto. Sembra che l’artista sia riuscito a scavare dentro ciascuno di noi e ad esprimere sulle sue tele, acquarelli e sculture ciò che di amaro ognuno si porta dentro. Ma alla fine si apre al giallo e al verde della speranza.
Guayasamín era nato il 6 luglio 1919 da padre indigeno di ascendenza quechua e da madre meticcia. Era il primo figlio, ne sarebbero seguiti altri nove ad una coppia che viveva in miseria – il padre lavorava come falegname e, più tardi, come tassista e camionista. Dotato di grande talento, fin da bambino ha rivelato la sua attitudine per l’arte, facendo caricature dei maestri e dei compagni di scuola. Nonostante l’opposizione del padre, riuscì ad entrare alla scuola di Belle arti di Quito. In quegli anni avvenne qualcosa che lasciò un segno nella sua vita. Durante la "guerra dei quattro giorni", in cui il popolo ecuadoriano si sollevò contro il governo di Arroyo del Rio, perse la vita il suo grande amico Manjarrés. È questo l’avvenimento che ispirerà la sua opera "Los niños muertos" (I bambini morti), ma che, soprattutto, segna la sua visione della gente e della società. Continuati i suoi studi alla scuola, nel 1941 consegue il diploma di pittore e scultore, dopo avere seguito anche studi di architettura.
Dopo qualche tempo trascorso negli USA, in Messico conosce il maestro Orozco, che lo accetta come assistente. Stabilisce rapporti anche con Pablo Neruda e comincia a viaggiare per il Sud America: Perù, Brasile, Cile, Argentina ed Uruguay. In ciascuno di questi Paesi trova una civiltà indigena oppressa, un tema, questo, che, da allora, apparirà sempre nelle sue opere. Infatti, le sue pitture trattano i temi sociali soprattutto del Sud America, ma toccano anche l’Asia – con scene di fame in India e di dolore delle madri di Hanoi per i figli morti nei bombardamenti. Nel 1976 crea la Fondazione Guayasamín, a Quito, alla quale dona la sua opera e le sue collezioni di arte. La sua concezione, infatti, è che l’arte è un patrimonio dei popoli.
Le opere esposte alla Capilla de l’hombre sono una vera denuncia della miseria e della violenza che la maggior parte dell’umanità è stata costretta a sopportare, soprattutto in Latino-America, nel corso del XX secolo: il Nicaragua, le comunità indigene della Sierra Andina, che attraversa tutto il continente, la miniera di Potosì in Bolivia, dipinta sulla volta della Capilla, tutta in bianco e nero e lasciata incompiuta. Nessun artista ha voluto completarla per rispetto al suo genio e alla sua capacità di esprimere la ricerca della luce e della libertà che fa tendere i minatori verso la luce della cupola, come verso l’uscita da quella miniera, nella quale vivono sepolti per giorni, ed in passato per mesi.
Le guide della Capilla del hombre spiegano le tre fasi dell’opera dell’artista.
Huacayñan – parola quechua che significa "Il Cammino del Pianto" – rappresenta la prima grande serie pittorica o primo periodo, e comprende una serie di 103 quadri dipinti eseguiti dopo avere percorso per 2 anni tutta l’America Latina. Segue l’Epoca della rabbia in cui il tema è quello delle guerre e della violenza, ciò che fa l’uomo contro l’uomo. La carriera artistica ed esistenziale di Guayasamin si conclude con L’Età della Tenerezza, dedicata a sua madre ed alle madri del mondo. Sono i quadri in cui possiamo apprezzare i colori più vivi che riflettono l’amore e la tenerezza fra madri e figli e l’innocenza dei bambini.