La Cappadocia ci aspetta

L'anno paolino è l'occasione per scoprire il polmone spirituale del cristianesimo antico, lungo le vie percorse dall'Apostolo delle Genti. Un viaggio tra fede, Storia, cultura e natura.

L’anno paolino, proclamato da Benedetto XVI a 2000 anni dalla nascita dell’Apostolo delle genti, ha portato tanti turisti e pellegrini alla riscoperta di regioni affascinanti e di paesaggi straordinari legati a Saulo di Tarso e ai suoi percorsi missionari.

 

Uno di questi Paesi è la Cappadocia, situata nell’area centro-orientale della Turchia e attraversata da Paolo nel secondo e nel terzo dei suoi viaggi apostolici (fra il 50 e il 58 d.C.). È stato detto giustamente che l’Asia Minore è per la storia della Chiesa quello che la Palestina è per il Nuovo Testamento. Basti pensare, oltre al fatto che vi morì Maria e che Giovanni vi scrisse l’Apocalisse, che in questa terra si sono svolti i primi quattro concili ecumenici, quelli validi pure per gli Ortodossi, a Nicea (325), a Costantinopoli (381) – che è in Tracia, ma sempre nella Turchia di oggi – a Efeso (431) e a Calcedonia (451).

 

Ma sia i viaggi sempre più numerosi in quella regione stupenda, sia le ricerche e gli orientamenti più attuali degli studiosi – storici del cristianesimo, patrologi, archeologi, biblisti – sono concordi nell’indicare proprio nella Cappadocia il vero polmone spirituale della Chiesa antica. Con quelle chiese rupestri, quell’iconografia ricchissima e quei monasteri scavati nelle rocce che, sullo sfondo di un paesaggio quasi lunare, senza tempo, testimoniano le origini del monachesimo, lo sviluppo di una forte spiritualità e la larga diffusione di un’esperienza cristiana profondamente vissuta. È sicuro, una visita in Cappadocia fa toccare con mano quanto fecondi siano stati i semi gettati su quel suolo dall’apostolo Paolo.

 

E quando si parla del monachesimo in Grecia e nel Vicino Oriente il pensiero non può non correre a Basilio Magno – il “san Benedetto” del monachesimo bizantino – e agli altri grandi Padri Cappadoci, suo fratello Gregorio di Nissa e l’amico e compagno di studi Gregorio Nazianzeno. Al suo visitatore, la Cappadocia parla pure di loro, di questi grandi protagonisti della cultura, della spiritualità e della storia, e non è senza emozione che si passa accanto ai luoghi e alle città maggiormente legate al loro nome, come Cesarea, oggi Kaiseri, ancora il massimo centro del Paese, dove Basilio era nato e fu vescovo, o la piccola Nissa, su una collina a sud-ovest, lungo la strada verso la Cilicia e il Mediterraneo.

 

Il maggior studioso italiano dei Cappadoci, Claudio Moreschini, ha pubblicato di recente un’ottima monografia – I Padri Cappadoci: storia, letteratura, teologia, Città Nuova Editrice – che fa il punto sugli studi e le conoscenze intorno a questi sommi autori e personaggi della patristica greco-orientale.

Ogni aspetto della loro vita, formazione e personalità è messo bene in luce: dagli studi ad Atene alla conversione ad una vita cristiana coerente, dai viaggi agli impegni apostolici, dalla solidarietà con i poveri (specie Basilio) alle reciproche incomprensioni a volte insorgenti, dagli scritti al pensiero, che li pone non solo fra i massimi teologi della Chiesa antica, ma anche tra i fruitori cristiani della tradizione classica, nel segno di Platone e del neoplatonismo. A chi cerca qualcosa di più di una guida stile “Gambero rosso” per visitare con consapevolezza la Cappadocia, è da consigliare caldamente la lettura di questo libro.

 

E una volta ben equipaggiati culturalmente, possiamo abbandonarci alle sensazioni uniche e alle emozioni intense che regala lo scenario cappadoce. Dalla vista mozzafiato della valle di Goreme, per esempio, sembra di affacciarsi sulla luna, con le sue algide estensioni e i paesaggi scabri e silenziosi. Montagne, rocce, valloni ripidi e profondi, coni capovolti e ardite guglie di pietra che si rincorrono per chilometri.

E poi torri, cime, gole, burroni e rocche imponenti che ricordano i canyons, le Montagne Rocciose e il mitico Far West. Il pellegrinaggio cristiano, paolino, si fonde in Cappadocia con un pellegrinaggio nella natura, nella sua grandiosità, nelle sue infinite potenzialità espressive e costruttive, nel suo estro e nei suoi capricci, nella sua inesauribile capacità di sbalordire e conquistare.

 

Ma c’è pure la fede, la spiritualità, ovviamente. E l’arte sacra. A una chiesa rupestre ti avvicini come a una delle tante ruvide rocce scavate, senza accorgerti che sei davanti a un edificio sacro, dove monaci e popolo hanno pregato per secoli. Ma una volta dentro, si apre un mondo esuberante di immagini e colori, con le scene della vita di Cristo e dei santi. Come nella chiesa dello Sguardo, o della Vergine Maria, o della Fibbia, con i dipinti che esprimono la pietà mariana dei cappadoci (l’Annunciazione, la visita a Elisabetta ecc.). Opere datate dal IX secolo, che testimoniano l’entusiasmo per la riscoperta dell’immagine sacra, dopo la lunga crisi iconoclasta.

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