La Camera al voto sulle mine anti persona
Riscattare la politica dalla sottomissione degli interessi economici e finanziari. È questo in gioco, come ci ha detto il deputato Graziano Delrio nell’intervista audio concessa a Città Nuova, nel voto che la Camera è chiamata ad esprimere nella settimana che termina il 4 dicembre sulla legge che ostacola il finanziamento della produzione delle mine anti persona e delle bombe a grappolo.
Un percorso irto di ostacoli e fortemente rallentato da eccezioni formali e questioni procedurali che non si spiegano davanti al contrasto necessario di una filiera di armi letali che costituiscono un vero e proprio crimine contro l’umanità.
Infatti, secondo Delrio «sono infondate le obiezioni avanzati da alcuni sugli oneri della tenuta dei registri degli intermediari finanziari. Ad oggi la Banca d’Italia ha tutte le informazioni per individuare gli investimenti eticamente sostenibili». Allora dove sta l’ostacolo? Per il parlamentare dem «Il problema sta tutto nella difficoltà a prendere una posizione netta e necessaria chiesta dalle convenzioni internazionali di Oslo e Ottawa sulle mine anti persona circa non solo la vendita, la produzione e la ricerca ma anche il finanziamento di queste attività».
Ne abbiamo parlato su Città Nuova rilanciando l’appello di Giuseppe Schiavello, referente della Campagna antimine, e sottolineando l’impegno diretto della massima carica dello Stato, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha rinviato alle Camere nel 2017, unico caso nel suo settennato, una legge che nella sostanza lasciava impuniti i vertici di banche e società finanziarie coinvolti nel sostegno alla produzione di tali ordigni di morte disseminati in mezzo mondo.
L’ultimo rapporto 2021 sulle mine antiuomo, Landmine monitor, riporta 7.073 vittime di mine anti persona, 2.492 morti e 4.561 feriti gravi da queste armi subdole che Gino Strada ha fatto conoscere nel loro effetto devastante: i “Pappagalli verdi” messi nel titolo del suo libro più famoso sono, appunto, le mine antiuomo usate dai sovietici in Afghanistan.
Prodotti di un’attività fiorente anche in Occidente e con l’Italia in prima fila con le sue fabbriche fino al Trattato del 1997 che le ha bandite. Ma il nostro Paese ha visto anche l’esempio notevole delle operaie della Valsella nel bresciano che con la loro obiezione alla produzione bellica hanno dato una spinta alla presa di coscienza nazionale e mondiale di una tragedia consumatasi per decenni nella “banalità del male”.
Franca Faita, l’operaia protagonista di quella lotta per la giustizia, dovrebbe sedere in Senato come testimone vivente della Costituzione.
C’è poi Vito Alfieri Fontana, l’imprenditore pugliese che ha deciso di interrompere la sua attività di produttore di mine anti persona salvando i posti di lavoro e decidendo di spendere la sua professionalità nell’attività di sminamento nelle zone di guerra, a partire dalla Bosnia. Una presa di coscienza emersa dalle parole del suo figlio più piccolo e dall’incontro con don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta, da sempre riconosciuto come esempio di santità.
Secondo il Rapporto 2021 ci sono almeno 50 milioni di mine pronte ad esplodere nelle zone di guerra (almeno 60 territori nazionali), la produzione non è mai terminata nei Paesi che non hanno aderito al Trattato del 1997 e anche alcuni degli Stati che hanno ratificato quell’accordo non hanno proceduto ad eliminare le mine dai loro depositi. Ad esempio anche la Finlandia, la Svezia e la Grecia.
Tra le novità più inquietanti c’è poi la nuova direttiva adottata negli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump di annullare, come riporta il professor Alessandro Pascolini dell’università di Padova, «la Presidential Policy Directive-¬‐37 (PPD-¬‐37) emessa da Barack Obama nel gennaio 2016 per avvicinare gli Usa agli obiettivi umanitari del bando totale delle mine anti persona». Per tale motivo è stato avviato, con l’impiego di milioni di dollari, il programma Gator Landmine Replacement con cui si prevede di sostituire le attuali mine “stupide” con altre “intelligenti”. Lo stesso indirizzo è astato adottato dalla Russia che ha uno stoccaggio presunto di mine “stupide” pari a 26 milioni di pezzi secondo il Land mine report del 2021.
Impedire ogni coinvolgimento dell’Italia nel finanziamento di tali filiere di morte è, perciò, assai importante in considerazione dell’attrattività di un settore che si presenta in crescita e cerca nuove tecnologie adatte per armi in grado di attenuare l’effetto indesiderato delle vittime civili ( 87% del totale).
Come ha detto Vito Alfieri Fontana in un intervista per l’Agi «fare pace con se stessi non è possibile, quello che è successo prima mi pesa sempre. Abbiamo rimesso in funzione (con l’attività di sminamento intrapresa dopo aver cessato la produzione di mine, ndr) fabbriche, stazioni ferroviarie, scuole: sono cose che mi danno grande gioia. Ma quando si lavora non ci si può accontentare di dire “Se non lo faccio io lo farà qualcun altro”. Occorre preoccuparsi di non fare del male: anche qualcun altro, poi, si porrà gli stessi interrogativi».