La caduta di Golia

Una domenica amara per uno juventino Doc per un copione che sembrava già scritto
Torino-Juventus

Che strana la 32.ma giornata di ritorno della serie A di calcio. Sembrava dovesse celebrarsi con un copione già firmato dal migliore scenografo. Il derby della Mole naturalmente lo vince la Juventus, la Lazio contro il Chievo perde. E ancora una volta si celebra con largo anticipo sulla fine del campionato, il quarto scudetto consecutivo, quest’anno firmato Allegri.

Poi da un’altra città del Nord Italia, va in scena la trattativa per la cessione del Milan. Il buon pastore, ma che non puzza per nulla di pecora, cede l’intero ovile alla pecorella Bee. Eggià Mr. Bee Taechaubolvuole un Milan formatothailandese. Pare si sia proprio fissato a tal punto da dichiarare: «Il Milan per me è l'unica opzione. Non voglio acquistare nessun altro club, solo il Milan. Mi hanno offerto tre società inglesi (Watford, Southampton e Sheffield), ma ho detto di no». Pare però, e l’ho sentito con le mie orecchie raccontare ieri mattina dal sagrestano del Duomo, durante la predica del canonico, a pochi fidati, che anche dei cinesi sarebbero intenzionati ad avvicinarsi all’ovile di Milanello e al club rossonero. Poi c’era la Roma già perdente dal giorno prima contro l’Inter e dallo stesso giorno l’Udinese vincente sul Milan. Oltre ai cinquant’anni di matrimonio di Agostino e Milly, celebrati con una degna festa e un gran pranzo. Sempre sabato.

Ricapitolando il pomeriggio di domenica è tutto per il derby della Mole. D’altra parte da vent’anni il Toro non vince questa partita, di che ci si deve preoccupare? Un brutto presentimento mi percorre le viscere: Alberto che di solito mi invita a vedere la partita in casa sua con Maria Teresa, tace. Nessun squillo dal cellulare. N’è tantomeno dal telefono fisso: Alberto è uno squalo quando si tratta di tifo. Lui è Genoano, poverino e mi rinfaccia che il suo Genoa quest’anno all’andata ha battuto la Juventus. Va bè c’è chi s’accontenta di poco, e noi siamo felici. Certo che però mi rode, quel non invito. Come mi rode Simone tifoso del Toro che ha una faccia da schiaffi pari a quella di Tonelli dell’Atalanta, preso a pugni da Denis dell’Empoli.

Va beh, che la partita cominci. La seguo alla radio. E la prima notizia riguarda l’attacco al pullman dei giocatori della Juve diretto allo stadio. Sassate, e bastonate, contro il mezzo, fischi e insulti. La radiocronaca racconta di una partita sofferta di occasioni mancate di pali colpiti e di reti inviolate. L’adrenalina è a mille, rosico il legno della matita, fino a mangiare anche pezzi della mina. Che schifo! E no! Schifo proprio no! Pirlo fa una sua prodezza da santo subito, è il 35° del primo tempo. Vorrei il numero del cellulare dell’arbitro Tagliavento e imporgli che il primo tempo va chiuso adesso, ma non trovo l’agenda e quel fetente di Darmian va a segnare il gol del pareggio proprio allo scadere del 45°. Quagliarella al 12° della ripesa compie il danno irreparabile. Riesco a sopportare senza imprecare. Anche l’sms di Alberto che ora si fa vivo con: «se non aveste Pirlo». 

Sono contento perché è stata una bella, bellissima partita, ma che la follia degli ultrà celebri gli avvenimenti sportivi con bombe carte, petardi, feriti e sassaiole è qualcosa di insopportabile. Perché non ci si può rassegnare alla violenza. Perché non ha senso, ma nessun senso. La domenica sportiva è qualcosa che è nel sangue degli italiani. Il calcio è la religione di stato. Le partite sono le liturgie laiche che dovrebbero unire famiglie, gruppi società. Perché trasformare la festa in momenti di tensione di rabbia, di violenza bruta? Perché solo da noi quasi succedono regolarmente questi fatti. Perché le società, la Lega, in accordo col ministero dell’Interno non prendono decisioni serie, per isolare le frange violente. Perché dobbiamo sentire urlare dai papà che assistono alle partite di campionato provinciale o regionale, dove giocano i loro figli, frasi del tipo, “rompigli le gambe”, “fallo fuori, menalo”. Forse tornare a credere al sano agonismo, aiuterebbe anche a vivere lo sport come momento di sana distensione, di vera competizione rispettando l’avversario, sempre.

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