La Buona Scuola esiste già
Aula docenti alle 8.10: siamo in pochi accanto al registro delle presenze all’indomani della del consiglio dei Ministri che ha finalmente affrontato il tema della “Buona Scuola”. Assunta e Barbara appena arrivate in treno facendo 250 km dal casertano, precarie da una vita, commentano laconiche: “Chi ci ha mai creduto alle riforme?”
C’è anche Antonietta la mia collega di classe ormai prossima alla pensione, e Daniela l’insegnante di sostegno…nei pochi minuti prima che suoni la campanella il dibattito si accende.
Se da una parte c’è chi vede ancora lontana l’assunzione definitiva dopo una vita spesa nella scuola, c’è chi si interroga sul rafforzamento di educazione ambientale, musica, arte e inglese. Da dentro il nostro edifico scolastico fatiscente si fatica poi, e non poco, a sperare nell’attuazione di una seria politica di edilizia scolastica.
Ciò che ha sorpreso tutti, perché non annunciata, né discussa in precedenza, è l’introduzione della figura dei “presidi-allenatori” – così li ha definiti il premier- dirigenti scolastici che avranno molta più autonomia e più potere. Avranno un ruolo di “guida” dell’intera comunità scolastica, potranno scegliere liberamente i docenti di cui necessita la scuola scegliendoli da un albo e potranno avere maggiori risorse per tenere aperte le scuola di pomeriggio. Non solo: le modalità con cui ciascuna scuola premierà i docenti più meritevoli saranno decisi dal preside.
Nessuno tra i colleghi è contrario all’introduzione del principio del merito. Le forti perplessità sono verso un problema valutativo difficile, che andrebbe esaminato con maggiore prudenza, capacità di riflessione, meno improvvisazione e dilettantismi per evitare discriminazioni e ingiustizie. Promuovere l’impegno e il merito dei docenti è sicuramente condivisibile, ma quali saranno i criteri? E come saranno a loro volta valutati i dirigenti su cui si accentra una così grave impegno? Come si eviteranno i rischi d’abuso cui si presta il concentrare un potere?
Chi ha una responsabilità così forte – ha assicurato il ministro Giannini – dovrà rendere conto ed essere valutato a sua volta. Ma nel nostro Paese il processo di valutazione dei dirigenti non ha una consuetudine così sperimentata e improntata ai caratteri della trasparenza.
Proprio sul più bello del nostro confronto l’ondata di vitalità dirompente dei bambini ci interrompe e costringere a raggiungere velocemente le nostre aule.
Tra un saluto e l’altro mi ritornano alla mente le bellissime parole del papa ad una recente udienza con un' associazione di insegnanti: “Insegnare è un lavoro bellissimo. Peccato che gli insegnanti siano malpagati! E’ un lavoro (…) bellissimo perché permette di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. (…) Insegnare è un impegno serio, che solo una personalità matura ed equilibrata può prendere. Un impegno del genere può incutere timore, ma occorre ricordare che nessun insegnante è mai solo: condivide sempre il proprio lavoro con gli altri colleghi e con tutta la comunità educativa cui appartiene.” E dopo aver incoraggiato i docenti ad impegnarsi nelle periferie della scuola, il papa ha concluso: “Vi incoraggio a rinnovare la vostra passione per l’uomo – non si può insegnare senza passione! – nel suo processo di formazione, e ad essere testimoni di vita e di speranza. Mai, mai chiudere una porta, spalancarle tutte, perché gli studenti abbiano speranza”.
Entro in classe chiedendomi se saranno mai formulati criteri capaci di misurare questa dimensione relazionale dell’insegnamento cui allude il papa, perché insegnare non è solo un lavoro ma un rapporto, “una relazione in cui ogni insegnante deve sentirsi interamente coinvolto come persona, per dare senso al compito educativo verso i propri allievi”.
No, mi rispondo non ci sarà mai dirigente in grado di valutare appieno ed in modo oggettivo questa fondamentale capacità di relazione e di accoglienza totale, insita nell’essere insegnanti. Ma è questa la cifra che vedo spesa da anni, da decine di colleghi e colleghe che ho incontrato dentro le nostre scuole, e che hanno formato anche me come docente e come persona. E’ questa la ricchezza della nostra professione, sconosciuta all’opinione pubblica, lontana dai riflettori e dalle cronache che spesso denunciano unicamente episodi raccapriccianti, dimenticando il lavoro umile e quotidiano di chi si spende con generosità “immotivata” a fianco delle nuove generazioni del nostro Paese.
La “Buona Scuola” già c’è, e la fanno tutti quegli insegnanti “capaci – come ha affermato ancora papa Francesco – di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente che deve sentirsi accolto e amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità”.
E devo riappropriarmi anche io, insieme ad Antonietta, Daniela e gli altri, di questa coscienza e di questa opportunità di essere insegnante.