La bolla dell’azzardo e il ricatto del lavoro

“Crea occupazione”. È l’argomento usato strumentalmente per non porre limiti alla diffusione incontrollata dell’azzardo. L’Italia ha, invece, bisogno di una diversa economia per un lavoro libero e dignitoso. Ultima parte dell'intervista dialogo con Marco Dotti
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Cosa fare per smontare la tesi preconfezionata del lavoro assicurato dal settore dell’azzardo? Esiste, cioè, la possibilità di difendere i posti di lavoro dignitosi promuovendo una diversa politica industriale? Arriviamo a questo nodo del problema azzardo in Italia nel dialogo con Marco Dotti, giornalista del mensile Vita e docente all'università di Pavia.

Il lavoro può essere un valore che giustifica la crescita del settore del comparto dell’azzardo?
«Gli interessi di una comunità vanno ben oltre quelli fiscali dello Stato. Nei decenni scorsi abbiamo barattato salute con lavoro e oggi, nelle aree dismesse dalla chimica, da Taranto a Brescia, nostri concittadini pagano fisicamente il conto di scelte umane, non solo strategiche aberranti. C’è un aneddoto della storia di Garibaldi che spiega l’attuale situazione».

Cosa centra Garibaldi?
«È un episodio storico emblematico. Quando Giuseppe Garibaldi entrò a Napoli in veste di dittatore, non ci mise due giorni a abolire il gioco del lotto, presentando però un decreto per tutelare posti di lavoro che si sarebbero altrimenti persi. Garibaldi intendeva garantire quei lavoratori impiegandoli nel settore nell’amministrazione finanziaria. Dall’alto arrivò il solito contrordine. Il decreto venne fatto ritirare nottetempo, troppi – nonostante le chiacchiere dei piemontesi – gli interessi in gioco. Cito questo episodio non certo per nostalgie garibaldine, tutt’altro, ma per ribadire che affrontare davvero la questione-gioco significa affrontare anche questo aspetto, che però non è quello determinante».

Cosa è decisivo allora?
«Determinante è la matrice antropologica del problema, che rimanda alla grande questione della dignità propria e dell’altro. Nel lavoro come nel non-lavoro. Nel settore del “gioco lecito” o azzardo legale che dir si voglia operano tante persone. Solo che il mio sospetto è che le loro professionalità saranno presto messe in scacco non dalle normative, o dalle nostre pressioni ma dalla tecnologia». 

Un altro settore delocalizzabile?
«Ci sono aziende dell’azzardo legale che dislocano i server in Estonia, le sedi legali a Gibilterra, i croupier in qualche enclave fiscale. Anche questo è parte del problema, credo. Ricordiamoci poi che, in termini di macroscenario, aziende come Istagram, di cui tanto si parla additandole a modelli di “nuova economia”, occupano in realtà poche decine di persone nel mondo. Un settore dove l’innovazione è davvero strategia – drammaticamente strategica – come quello del gambling dovrebbe fare eccezione?».

Quindi?
«Una politica industriale, se così la vogliamo chiamare, serve eccome – non solo in questo settore. Ma direi che, prima di tutto servirebbe una nuova antropologia economica: per recuperare quella idea di bene comune che proprio l’azzardo legale e di massa ha contribuito a mettere in scacco nella sua struttura profonda, accelerando dinamiche fortemente dissocianti rispetto all’ambiente e alla società».

Quale strada seguire per uscire da questo dissociazione mentale di massa?
«Mi sembra importante ricordare quanto affermava il premio Nobel per l’economia (1970) Paul Samuelson: “L’azzardo (gambling) assorbe tempo, risorse, non genera, ma fa degenerare l’economia degradando ogni bene, materiale e immateriale, relazionale e simbolico”. L’economia che è amministrazione retta della casa, che pur si serve del denaro come mezzo di scambio, è il contrario, diceva già Aristotele di quell’economia che nel denaro vede un fine e diventa – così si legge nella Politica – uno «stato della mente». Non c’è discorso sulla clinica o sui numeri che tenga. Perché questo, nient’altro che questo, produce l’azzardo di massa, quando entra nella vita quotidiana e si insinua nelle vite minute di quelle creature fragili che chiamiamo “uomini”: un incantamento, una follia. Disincantarci tutti è la condizione prima e necessaria per uscire da una bolla che presto o tardi è destinata a implodere».

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