La Bibbia secondo gli Oblivion
Scritto e interpretato da un ben collaudato gruppo di cinque artisti formidabili, questo nuovo musical mette in scena le più celebri sezioni narrative della Bibbia, con un originale espediente: ambientare la narrazione, quasi come un flashback, nel contesto storico della nascita della sua prima edizione stampata, ad opera di Gutenberg.
Strategia che consentirà di far riflettere con grande acutezza sul rapporto tra la Bibbia e la modernità. A parte questa finzione drammaturgica che solo a uno spettatore ingenuo potrebbe far supporre che il testo stesso della Bibbia sia stato composto solo nel ‘400, si tratta di un racconto fedele e informatissimo, attento a dettagli molto ricercati, degni di un biblista. Ma un racconto in chiave comica, esplosivamente comica.
Chi ama davvero la Bibbia, e possiede un sufficiente senso dell’umorismo, oltre che una buona dose di libertà mentale e spirituale per non lasciarsi scandalizzare da una prospettiva interpretativa divertente (e mai irriverente), lo troverà senza dubbio uno spettacolo gustosissimo e imperdibile.
La quantità delle battute comiche (tutte efficacissime e di grande erudizione, tra giochi di parole e allusioni colte), distribuite in due ore di spettacolo, basterebbe da sola a riempire abbondantemente il repertorio dell’intera carriera di un valente attore comico.
Questi cinque simpaticissimi giovani affrontano un tema impegnativo in modo estremamente coinvolgente per tutti. E non con quello snobismo supponente di certi laicisti a tutti i costi, che sbandierano autocompiacenti la propria ignoranza in materia come manifesto di emancipazione da ogni connivenza con le sagrestie, bensì – al contrario – con l’intelligenza di chi ha preso talmente sul serio la Bibbia, da saperci anche ridere un po’ su, tutto sommato con garbo e rispetto (fatte ovviamente salve le esigenze basilari del genere satirico).
Questo spettacolo parla di Dio (e con Dio) in un modo che può soltanto edificare e far maturare la fede dei veri credenti (quegli “adoratori in spirito e verità” di cui parla Gesù nel Vangelo). Solo chi in Dio ci crede veramente può inventare uno spettacolo così.
Alcuni hanno scritto che lo spettacolo avrebbe “qualcosa di eretico”, ma formalmente non contiene alcuna eresia. Non più di una “licenza poetica” appare quella momentanea gaffe teologica sul rapporto tra Dio Padre e il Figlio, felicemente presto risolta nell’intreccio, e rivelatasi funzionale a esprimere il grande mistero del silenzio di Dio nella sofferenza umana, riassunta dal grido di Gesù abbandonato in croce.
È stato scritto pure che si tratta di uno spettacolo “dissacrante”, ma anche in questo caso si tratta forse solo di un desiderio di chi l’ha detto. Di particolare intensità è la constatazione fatta dal personaggio che interpreta Dio, quando con una certa amarezza riconosce che non sembra esserci più spazio per Lui nella modernità, e allora annuncia di saper avere la delicatezza di farsi da parte e uscire di scena. Altro che spettacolo dissacrante …
E che dire poi della finezza con cui si menziona lo Spirito Santo? Forse una delle intuizioni più elevate dell’intero copione. Personaggio invisibile e discreto, gli altri personaggi lo nominano, ma Lui, a differenza del Padre e del Figlio, non appare mai in scena: il suo ruolo si rivela tuttavia fondamentale e decisivo, anzi risolutivo per far sì che la Bibbia prenda finalmente corpo.
L’analogia tra il suo intervento diretto nell’incarnazione di Cristo e la “firma” dello stesso Spirito che sigilla tutta la Bibbia, consentendole di fatto di incarnarsi, emerge nel musical in modo elegante e teologicamente impeccabile.
Infine, per inciso, segnaliamo che uno dei grandi valori aggiunti di questo spettacolo è l’aver saputo rispondere, con l’umorismo d’uopo, alle recenti teorie fantascientifiche su una possibile allusione della Bibbia all’esistenza degli alieni (proprio così!). Perché alla comicità involontaria può rispondere soltanto la comicità vera.
Complessivamente, il messaggio – serio, stavolta – del musical è l’invito ad apprezzare la bellezza di questo Libro straordinario, “andando oltre” la lettera del Libro stesso, tenendo conto del “contesto” storico-letterario di certe affermazioni in esso contenute (concetto di grande esattezza e competenza esegetica).
Un “andare oltre” che lo spettatore con una certa sensibilità religiosa recepisce come un invito ad andare ancora più in profondità nel mistero soprannaturale di quel Libro, e non certo a ritenerlo falso o superato.
Questo “andare oltre” viene magistralmente spiegato soprattutto da due canzoni in scaletta, commoventi e poetiche, momenti lirici che descrivono il rapporto diretto con Dio, il sentirne la presenza viva e reale accanto a sé, scorgendola ovunque (“in terra, in cielo e in ogni luogo”), il credere che Lui crede in te: tutto ciò riesce a farti “andare oltre”, superando anche le perplessità inevitabilmente suscitate dai limiti dell’antico linguaggio biblico.
E all’accorato grido “La gente ha bisogno di Dio!”, che forse è la frase chiave di tutta l’opera, Dio risponde che nella Bibbia l’uomo troverà tutto ciò di cui ha bisogno, a patto che sappia interpretarla con umanità e raziocinio, doni di Dio stesso (trasposizione perfetta di quell’atteggiamento cristiano più corretto che è il connubio fides et ratio).
Pur senza voler parlare di un musical comico alla stregua di un’opera mistica, sarebbe al contrario troppo superficiale pensare che esso abbia voluto smontare la Bibbia e la fede in Dio.
Del resto, anche uno spettacolo sulla Bibbia non può non correre il medesimo rischio che la Bibbia stessa è costretta a sopportare da millenni: e cioè subire interpretazioni erronee o parziali fraintendimenti. Si sa, questo è il perenne destino della Bibbia, e già lo è anche di questo musical in certa critica.
Il fatto è che, tra ironia e comicità, tra caricature e canzonature più o meno benevolmente satiriche, persino da uno spettacolo del genere la Bibbia esce ancora una volta vincente, splendidamente intatta nel suo immutabile fascino, che la rende una Storia davvero divina e umana insieme.