La bellezza è per tutti
I grandi cambiamenti climatici, che sono stati gestiti per troppi anni in modo irresponsabile, rischiano di modificare profondamente anche l’esperienza e l’esercizio di dimensioni decisive della nostra civiltà.
Pensiamo, per un esempio importante, all’arte e alla cultura. Il mercato sta entrando sempre più decisamente dentro la gestione del patrimonio artistico e culturale, e lo fa con i suoi meccanismi (i prezzi). In molti Paesi entrare nei musei costa sempre di più, e andare all’Opera a sentire Verdi o Rossini sta diventando un bene di lusso accessibile solo a un’élite sempre più ristretta. La crescente e sempre più urgente necessità di cambiamento negli stili di vita per rallentare o frenare gli effetti del deterioramento climatico cambierà presto anche il “consumo” dei beni culturali. Perché? Le opere d’arte sono, in massima parte, site specific: sono come le piante, legate al suolo.
In genere, come le piante, non si spostano e nei rarissimi casi in cui lo fanno (perché prestate per qualche mostra) questo spostamento riguarda pochissime opere per pochissime persone.
Nel Medioevo le opere d’arte erano viste dalle persone che vivevano nei pressi delle opere, e non tutti (in quanti vedevano i capolavori interni nei palazzi dei signori?). Per vedere le opere d’arte delle altre città si doveva viaggiare. Il flusso di viaggiatori culturali è cresciuto in modo esponenziale nei secoli, fino a raggiungere dimensioni bibliche negli ultimi decenni, quando (grazie a Dio) anche grandi numeri di turisti di Paesi orientali si sono riversati nelle città europee in cerca di arte e storia (e viceversa). Ma quando a spostarsi sono centinaia di milioni di persone, gli effetti degli spostamenti sull’ambiente diventano molto importanti. Ecco allora la denuncia delle organizzazioni ambientaliste per l’eccessivo uso di aerei, che sono una grande causa di emissione di CO2. Non sono in pochi, allora, a iniziare a ipotizzare un futuro prossimo in cui il flusso di turismo sarà molto limitato per rendere sostenibili gli spostamenti contro l’inquinamento. E se il mercato continuerà ad essere lo strumento per gestire i flussi, l’esito più probabile sarà un forte aumento del prezzo del “consumo” dei beni culturali per poterlo limitare (come è accaduto con le auto nei centri storici). Con la conseguenza che saranno solo i ricchi a vedere Picasso e Leonardo.
Altri ipotizzano che dovremo sviluppare strumenti informatici sempre più sofisticati che ci consentano di “vedere” le opere da casa, senza spostarci. Musei virtuali sempre più simili ai musei reali. Il secondo esito sembra più probabile (e forse più desiderabile) del primo. Peccato, però, che l’esperienza artistica sia anche e soprattutto un’esperienza fisica e corporea. Quando si entra in un museo e si guarda un Masaccio da 50 centimetri di distanza, in quella visione scatta un rapporto “fisico” con l’oggetto artistico che è lì presente di fronte a noi. Il quadro si vede, certo, ma anche si sente, si odora, siamo visti da lui. Per non parlare delle chiese: queste si camminano, si toccano, si è abitati e visitati dalla loro bellezza. Accade, qui, qualcosa di simile alla differenza che passa tra chattare con un amico su Facebook e andarlo a trovare a casa per stare con lui.
Nel Medioevo, per rendere l’esperienza artistica possibile anche ai molti che non vivevano a Firenze o a Bologna, si sviluppò un enorme mercato di artisti e artigiani che riproducevano e moltiplicavano le opere d’arte. Migliaia e migliaia di copie o di opere simili che riempirono le chiese e le case di mezz’Europa. Non tutti avevano Mantegna dentro casa, ma molti potevano guardare e sentire opere vere di artisti. Inclusi artisti-artigiani popolari, assistenti di bottega, che dipingevano opere semplici per i presepi o per i cartolami della settimana santa (che oggi finalmente si stanno riscoprendo).
Anche quella bellezza popolare e diffusa ci ha formato e fatti tutti migliori.
Saranno nuovi artigiani a permetterci nuove esperienze artistiche quando domani dovremo e potremo viaggiare meno? O dovremo accontentarci di documentari e App sempre più sofisticati? O inventeremo qualcos’altro che ora non riusciamo neanche a immaginare?