La bellezza dell’umanità ispirata a Rodin
È un omaggio alla bellezza “I am beautiful”: quella dei corpi della danza, e della danza stessa. Alla sua connaturata essenza. Alla poesia che emana. All’anima che è capace di sprigionare. Il coreografo Roberto Zappalà imprime una forte connotazione gestuale al suo ensemble di magnifici danzatori plasmandolo con movimenti che esaltano il corpo quale fonte, appunto, di bellezza. C’è un momento in cui due di essi – la donna sollevata con un balzo e, accovacciata, tenuta in braccio dall’uomo – si cingono poggiando il mento l’una nell’altro. Raffigurazione poi ripresa e moltiplicata dagli altri danzatori. Per un momento si staglia un richiamo alla celebre scultura di Rodin “Je suis belle”. Come se quel blocco di marmo avesse preso vita. Si ispira a quest’opera, e ai versi della poesia “La Beauté” di Baudelaire «Je suis belle, o mortels, comme un rève de pierre», l’ultima creazione del coreografo catanese che ha debuttato lo scorso marzo al Comunale di Ferrara, ospite quindi all’Euro-Scene Festival di Lipsia, e ora ripresa al teatro Massimo Bellini di Catania il prossimo 4 e 5 gennaio 2017.
Sulla scena definita da un cascame semicircolare di fili bianchi, s’intravedono, dietro, sospesi su tre piattaforme e appena illuminati, i componenti del gruppo folk-rock dei Lautari, la cui partitura musicale live dà l’avvio alla danza febbrile, viscerale, corale dei nove interpreti. Divisa in tre parti, e lasciata ad un susseguirsi di liberi quadri, dopo l’inizio scandito da un suono percussivo ossessivo, la coreografia ha un momento centrale di quiete in cui, dopo aver ascoltato il canto di un antico, bellissimo, “Stabat Mater” contaminato in lingua siciliana, i danzatori avanzano lentamente in una semioscurità bluastra scandita da un suono cupo. Inizialmente in candida biancheria intima, poi in trasparenti tute verde, l’ensemble procede come una tribù, come un’umanità in divenire che, fremente, si riconosce, prende forma, si disgrega, si deforma, si compatta, si allontana, si ricompone tenendosi per mano in lievi girotondi – richiamo pittorico a “Le danzatrici” di Matisse –; si blocca in pose scultoree che citano statue celebri; avanza ritmicamente fra tremiti e sussulti; ondeggia in squilibri mentre si spezzano i legami umani; protende le braccia per tenersi uniti e non perire; si libera in una danza energica. È un’umanità in transito verso un approdo ineludibile, verso un luogo di splendore. Lo esprime la concatenazione in cui una donna viene portata dal gruppo maschile, sollevata, trasportata, abbracciata, deposta, fluttuante come un’onda: sequenza che rimanda, insieme ad una visione generale della coreografia, ad una sorta di “Sagra della primavera” non tribale. Un rito sacro, per Zappalà, che ha la sua consistenza nell’atto di guardare, come ci suggeriscono due danzatrici in proscenio declamando un testo in francese: «l’arte di guardare è una forma di preghiera. Un modo per avvicinarsi all’assoluto, senza mai riuscire a entrarci». Si entra infine in un universo luminoso con l’improvviso accendersi di fari puntati verso l’alto, e con la danza che, in una vertigine dei sensi, esplode al suono trascinante delle chitarre elettriche.
In contemporanea allo spettacolo, si svolgerà, dal 5 al 7 gennaio, nelle sale di Scenario Pubblico Centro Coreografico Nazionale, sede della compagnia, “The Risico Screening, rassegna multischermo della danza in video”. Tre serate a ingresso libero, dalle ore 18 alle 24, con programmi differenziati per una panoramica sulla danza in video dagli anni novanta ai giorni nostri, una sorta di macchina del tempo dell’arte di Tersicore in formato multimedia.