La bellezza del legno dipinto

Agli Uffizi, fino al 28 agosto, una preziosa rassegna di statue lignee a colori del Quattrocento fiorentino. Una umanità di sentimenti nobili, corpi reali e idealizzati al tempo stesso: sempre, in qualsiasi modo, bella
Quattrocento fiorentino

Quando si pensa alla scultura fiorentina del Quattrocento, si immaginano le statue di bronzo o di marmo: Donatello, Jacopo della Quercia, Ghiberti, Verrocchio, il giovane Michelangelo, tanto per fare dei nomi. Non tutti forse pensano che nella città toscana, e non solo, c’è stata una stupenda fioritura di statue lignee e per di più dipinte a colori vivaci, naturali, tanto da dare l’impressione ancora oggi di trovarsi di fronte a persone vive, in carne, sangue e ossa.

 

Perciò la rassegna in corso agli Uffizi fino al 28 agosto di decine di queste autentiche opere d’arte è quanto mai interessante e coinvolgente. Risalta l’amore tutto fiorentino e toscano per il corpo, per il carattere, la personalità dell’uomo e della donna. Siamo in una civiltà umanistica che esalta la grandezza dell’uomo. Nelle decine di opere esposte – ritratti, crocifissi, santi, presi da altari o tabernacoli –, si contempla una umanità dai sentimenti nobili, dai corpi reali e idealizzati al tempo stesso, e sempre, in qualsiasi modo, bella.

 

Ma è la bellezza secondo l’intelligenza fiorentina e toscana: ossia, una armonia della mente, dello spirito, che poi si incarna nel corpo. Insomma, il neoplatonismo filosofico seduce anche le opere più strettamente di carattere scaro, le presenta nella loro fisicità e nello stesso tempo le astrae. Se, prima di entrare nel museo, si fa un salto a Santa Croce e a Santa Maria Novella si vedranno i due crocifissi lignei rispettivamente di Donatello e Brunelleschi. Sono loro a dire l’inizio di un pensiero nuovo: rude, sofferto e possente in Donatello, come nella pittura contemporanea di Masaccio, più disteso, “architettonico”, levigato quello del Brunelleschi. Idea e realtà, forza e slancio. Ma, sempre prima di entrare agli Uffizi, non si dovrebbe tralasciare la chiesa della SS. Annunziata, dove Giuliano da Sangallo ha lasciato un Cristo in croce di bellezza dolente: il volto frontale, la bocca socchiusa, un ultimo gemito nell’espressione e il colore caldo della carne che si rispecchia  nei capelli castani.

 

Entriamo finalmente nella rassegna distinta in diverse sale ben illuminate e raccolte. Ci si apre subito una prima indagine sulla scultura prerinascimentale del Trecento. Il Crocifisso  dal costato sanguinante, il ventre gonfio di Andrea Orcagna richiama il soggetto dipinto da lui stesso nel refettorio fiorentino del convento di Santo Spirito: identica aura di pietas, identico desiderio di contemplazione delle piaghe del Redentore, medesimo amore per un corpo indagato nelle ferite e lucidato in modo da apparire luminoso, ossia presago della resurrezione: fede ed arte unite nella spiritualità tardo-medievale, presente anche nelle tranquille Madonne col bambino.

 

Donatello dà il via a un nuovo corso con la Maddalena orante ora al Museo dell’Opera del Duomo, scarnificata immagine di un corpo in dissoluzione. Ma questo corpo è invece ben vivo, oltre il martirio, nella serie dei san Sebastiano, rappresentato come un giovane forte nel Tabernacolo di Antonio Rossellino – un misto di pittura e scultura, molto in auge e non solo a Firenze –, nella scultura di  Baccio da Montelupo – che richiama nella posa analoga il dipinto di Filippini Lippi ora a Genova per non parlare del Perugino agli stessi Uffizi –. Oltre a san Sebastiano, sfilano altri beati, eretti e fieri: Benedetto da Majano scolpisce un deciso  sant’Antonio abate, ammantato di marrone scuro,  Francesco da Sangallo un Battista dal manto rosso, Giovanni da Biasucci un ragazzo biondo, cioè san Michele che pesa le anime, dai colori brillanti, e Donatello ritorna con un poco noto  san Pietro Martire, vero ritratto di un domenicano fiorentino contemporaneo.

 

Che personaggi, santi certo, ma uomini sicuri che dominano lo spazio intorno. Anche le numerose Madonne col bambino fanno altrettanto sia nelle tavole che nelle sculture, giustamente messe a confronto con i dipinti per dimostrare la interscambiabilità dei soggetti e dei  materiali da parte degli stessi autori o di altri. Così Desiderio da Settignano compone un bionda Madonna adorante il bambino in stucco dipinto e dorato che  “parla” con lo stesso soggetto su tavola di Neri di Bicci o con la terracotta di Donatello, riprova della diversità di materiali usati dagli artisti. Un esempio per tutti, e celebre sono le terracotte invetriate della bottega di Luca della Robbia.

 

Ma non ci sono soltanto santi nella rassegna. C’è un vero gioiello in legno intagliato, dipinto e dorato della cerchia di Desiderio da Settignano, finissimo interprete della bellezza. Si tratta del busto -– ritratto di Santa Costanza detto la Belle Florentine. Un volto roseo emerge dalla cuffia, gli occhi  guardano lontano verso un punto per noi sconosciuto, il busto eretto racchiuso dalla veste dorata. E’ una immagine di delicatezza unica, di femminile grazia che rimanda a certe armonie del Botticelli.

 

E’ bello  concludere la visita a questa mostra di straordinaria  novità con il volto di giovane donna misteriosa, colma di bellezza  ideale come le donne dipinte dal Pollaiolo su tavola o da Leonardo. Immagini di laica sacralità.

 

Al di là del materiale usato emerge  l’atmosfera di un linguaggio culturale comune  che circonda l’arte fiorentina di questi decenni. Ma il legno così  dolcemente intagliato e policromato toglie ogni durezza, e celebra i l sangue caldo che circola nell’uomo e nella donna e li rende persone  ancora oggi in dialogo con noi, a   distanza di seicento anni. Non è poco per una mostra che non si deve davvero perdere.

 

 

Scultura del Quattrocento  in legno dipinto a Firenze. Galleria degli  Uffizi, fino al 28 agosto. (catalogo Giunti)

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