La bellezza de “La sposa” su Rai1
Parte da un vistoso “come eravamo”, La sposa: la fiction in tre serate − diretta da Giacomo Campiotti – partita domenica scorsa (16 gennaio) su Rai1. Ma dalla fotografia di un passato più drammatico che nostalgico, cavalcando la strada del melodramma e di un realismo condito di sentimenti (e di qualche stereotipo), arriva al tema, ancora attuale, sempre urgente, della condizione femminile: è la forza della donna, la sua importanza nella società, ieri come oggi, la sua completezza, il fiume (nemmeno troppo) carsico che scorre sotto la vicenda storica. Sta qui il senso ultimo della riflessione a cui ci invita il salto nel tempo offerto da La sposa. Che atterra nel paesaggio marcato di un’Italia lontana, povera e profondamente contadina, arcaica.
Perchè se c’è già Gianni Morandi col suo grande prato verde (e quindi siamo intorno al 1967), le speranze che ci nascono sopra sono decisamente sommerse dalla pressione del contesto dominante: un Sud povero oltre la sua luminosità, e un Nord preindustriale di pianura fredda e nebbiosa. Da una parte una Calabria marina e brillante di pietra chiara, ma piena di ingiustizia e di disparità sociale; dall’altra un Veneto cupo, di colture, cascine ed animali, freddo di maschilismo e di altrettanta arretratezza. Nessuno dei due mondi è dipinto come idilliaco, ma insieme, legati da un lungo viaggio in automobile (e poi dai telefoni del bar), sono lo sfondo che si fa protagonista, spazio fondamentale, geografico e prima ancora temporale, nel quale si muove il personaggio di Maria, interpretato da Serena Rossi (come già in Mina Settembre forte, altruista e piena di buon senso). È lei la sposa partita dalla sua terra per quello che è lo spunto di partenza storico della miniserie che arriverà fino al 30 gennaio: i matrimoni per procura. Un tempo tristemente praticati.
Maria è di famiglia povera: suo padre è morto, ha due fratelli più piccoli − un maschio e una femmina −, diversi debiti da pagare e una madre troppo fragile per farlo. Accetta, per spirito di sacrificio, seppure innamorata di un uomo in Belgio per lavoro, il matrimonio con uno sconosciuto del profondo Nordest di allora: un certo Italo Bassi interpretato da Giorgio Marchesi. Mai visto prima, mai sentito né al telefono né per corrispondenza. Nulla di nulla, fino all’arrivo, in una notte umida, in quella terra distante dalla sua più delle migliaia di chilometri percorsi. E qui, lentamente, dentro una ricostruzione d’ambiente un po’ patinata ma anche dettagliatamente lavorata in fatto di costumi e scenografie, inizia il suo lavoro di silenziosa ma decisa emancipazione. L’uomo è un burbero segnato da un precedente amore misteriosamente finito, un solitario addolorato che porta addosso profonde ferite per quella storia naufragata. È cresciuto nella sofferenza e ha persino un figlio che all’inizio vive nella stalla insieme agli animali. Non proprio un quadro rassicurante, un salto nel vuoto tutt’altro che indolore, per Maria; che però osserva, incassa, reagisce compostamente e lotta senza sosta dentro una serie che anche stilisticamente, con una regia classica, sembra legata al passato.
La protagonista modella da dentro il contesto ostile mettendo all’opera le sue qualità sia intellettive che sentimentali: la lucidità organizzativa e l’affettività innata, l’empatia e la compassione verso il dolore altrui. Così facendo, almeno stando a quanto visto finora, ribadisce la bellezza della donna e dà la sensazione di poter trasformare il piccolo mondo contratto, azzoppato, plumbeo, nel quale è capitata, in un altro che, per rifarsi di nuovo alla canzone di Morandi, somiglia di più a un “mondo d’amore”. Il che non fa mai male sullo schermo. Anche se, per costruirlo, Maria dovrà passare attraverso colpi di scena, conflitti, e forse anche per la soluzione del mistero riguardo alla prima moglie di Italo, ritrovata cadavere sulla riva del fiume. Perché anche il crime, ormai, vuole la sua parte, quasi sempre. Anche tra il come eravamo e i sentimenti e i valori di La sposa. Vedremo.