La bella storia dell’Abencerraje e di Sharifa

La sfida tra un musulmano e un cristiano, la conquista della persona amata, la cavalleria intesa come rispetto degli impegni presi e dell'onore, la grandezza del perdono: tanti elementi che avvicinano le persone e le religioni, come in un romanzo che parla di fatti che si vorrebbe fossero veri
Cielo e terra

Accadde qualche anno prima della presa di Granada, avvenuta nel 1492 (praticamente un istante fa, nella storia del mondo iniziata – si dice – 13.700.000.000 anni fa). Accadde nell’Andalusia adagiata sotto il sole di maggio, con le rose che spandevano fragranza tra i viali e i giardini e deliziavano gli occhi dei passanti con i loro petali, vuoi dai colori passionali, come fiamme brillanti, vuoi dai colori delicati e pallidi, come volti languidi d’amanti segnati di lacrime per la lontananza dell’amato.

 

Accadde quando l’Andalusia era terra di frontiera, terra contesa fra acerrimi nemici, da una parte i mori musulmani dall’altra i cristiani che si erano lanciati nella reconquista. Accadde… e siccome cosa accadde fu una vicenda bellissima – d’amore e di gesta d’armi, di valore, d’onore e di ricchezza d’animi – fu poi cantata dai cantastorie nelle fiere dei paesi e nelle osterie, fu scritta da qualche poeta di cui s’è perso il nome, ed è giunta fino a noi. Racconta, la storia, del moro Abindarráez (membro della valorosa famiglia guerriera degli Abencerrajes), della sua innamorata anch’essa mora, la bella Sharifa, e del nobile capitano cristiano Rodrigo de Narváez.

 

Abindarráez e Sharifa, cresciuti come fratello e sorella, scoprirono un giorno di non esserlo affatto, e poterono quindi con caldi baci dichiararsi l’amore che da tanto tempo correva nelle loro vene con impeto di passione, come cavallo lanciato al galoppo nella brughiera. Così si promisero l’uno all’altra. E la loro fu una promessa autentica, di quelle che s’imprimono come sigillo di fuoco nei cuori. Ma un giorno il padre di Sharifa venne trasferito dal moro re di Granada, e nominato governatore in un’altra città. La figlia dovette seguirlo. Non poté fare altrettanto Abindarráez, perché molti anni prima era stato accolto nella loro casa come orfano in esilio coatto, in quanto appartenente a una famiglia accusata (ingiustamente) d’aver complottato contro il re.

 

Si separarono quindi i due innamorati, ma Sharifa chiese a Abindarráez di non farsi soffocare dai tentacoli della tristezza: promise solennemente che a tempo opportuno lo avrebbe fatto chiamare, e quando lui l’avrebbe raggiunta si sarebbero sposati in segreto e avrebbero gioito insieme nella loro prima notte d’amore. Abindarráez aspettò. E passava il tempo cavalcando, allenandosi all’uso delle armi, coltivando musica e poesia, pregando con ardore il suo Dio, e guardando «le finestre dove lei  soleva affacciarsi, le acque dove si bagnava, la camera in cui dormiva, il giardino dove riposava nelle ore più calde…». Infine il giorno venne: ricevette il messaggio, e raggiante come il sole di luglio, saltò prontamente sul cavallo e si diresse a galoppo verso il castello dove si trovava la sua amata.

 

Cavalcando nel bosco, con l’animo reso leggero dalla felicità e baldanzoso dall’amore, Abindarráez  s’imbatté in un manipolo di cavalieri che erano al seguito del nobile capitano cristiano Rodrigo de Narváez. Vedendo il moro nemico i cavalieri sguainarono le spade scintillanti e iniziò una lotta furibonda. Ma tale era la forza e il coraggio del moro Abindarráez, che sbaragliò ben quattro avversari. S’accese quindi il duello fra don Rodrigo e l’Abencceraje, e la lotta fu tale che chi la guardò rimase profondamente ammirato dal valore dei due contendenti. Alla fine Rodrigo de Narváez ebbe la meglio, ferì il coraggioso moro e lo fece suo prigioniero. Strada facendo rimase però colpito dallo sguardo triste del moro, che così malamente s’addiceva alla sua fierezza. Gli chiese ragione di quell’inopportuna espressione del volto, e Abindarráez gli narrò la sua storia, il penoso tempo trascorso senza l’amata, e il motivo del suo viaggio.

 

S’era ai tempi nei quali i valori della cavalleria, la lealtà e la generosità, avevano precedenza su ogni altro sentimento e su ogni interesse personale. Rodrigo infatti lasciò l’Abencceraje libero di andare dalla sua innamorata, con la promessa che sarebbe tornato come prigioniero dopo essersi sposato con lei. Ringraziò Abindarráez, e spronò il cavallo verso la sua felicità, e quella della bella Sharifa. Si sposarono i due amanti, in segreto, di fronte solo alla di lei fantesca, e «una volta sposati, giacquero nel loro letto, dove, con la nuova esperienza, accesero vieppiù il fuoco dei loro cuori…». Al mattino, con le palpebre e la pelle ancora tremanti di delizia, lui confessò alla sua sposa, con grande amarezza, la sua condizione di prigioniero, e le disse del nobile gesto del capitano Rodrigo.

 

Gli stessi valori della cavalleria che avevano spinto la generosità del cristiano ora imponevano alla sua coscienza di ritornare dal suo vincitore. Partì quindi quello stesso mattino. Ma non da solo, perché la bella mora Sharifa per nessuna ragione al mondo volle separarsi dal suo sposo, salì sul suo cavallo, e se ne andò con lui. Arrivarono al castello di Rodrigo de Narváez e si consegnarono entrambi suoi prigionieri. Questi li accolse, curò le ferite inferte in duello al nemico, e li trattò con grandi onori come graditi e preziosi ospiti più che come nemici e prigionieri. Per aiutarli a dare ali alla loro felicità, scrisse quindi, il cristiano Rodrigo de Narváez, al musulmano re di Granada, pregandolo di intercedere presso il suo suddito, il padre di Sharifa, affinché questi perdonasse il gesto della figlia, accettasse il suo matrimonio e accogliesse i due sposi come figli.

 

Aggiunse che avrebbe rinunciato al giusto riscatto per liberare il prigioniero Abencerraje, e che quel gruzzolo avrebbero costituito il suo regalo di nozze al valoroso Abindarráez e alla sua bella sposa, la giovane Sharifa. Il re di Granada rimase ammirato della nobiltà d’animo del nemico cristiano, con le cui armate valorose s’era spesso combattuto (e avrebbero continuato a farlo). Chiamò a se il suo suddito, il governatore, il padre di Sharifa, e questi dovette piegarsi alla volontà del sovrano: perdonò la figlia e la chiamò a sé assieme al suo sposo. Grande fu la gioia di tutti. E quella sera, quando la fragranza delle rose profumava i vicoli e i giardini andalusi, molti nobili cuori gioivano, e tutti gli attori di questa storia, amici e nemici, cristiani e mori, poterono addormentarsi adagiando il loro corpo sereno sui giacigli, concedendosi il riposo dei giusti.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che questa storia, in realtà, non è una notizia (probabilmente non è affatto vera, ma frutto di vivace fantasia) e che non è di attualità. Sì, qualcuno potrebbe giustamente obiettarlo… Ma se una storia che spinge a rendere ancora oggi migliori i nostri sentimenti e le nostre azioni, non può essere considerata notizia di attualità, che cosa è l’attualità?

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