La bella, il mostro e il corallo
Pochi siti al pari dell’incantevole costa laziale tra Gaeta e Sperlonga sono evocatori di racconti mitologici come quelli cantati dai massimi poeti della Grecia classica. Ben lo comprese Tiberio imperatore, che proprio in questa Riviera d’Ulisse, come oggi è denominata, ereditò dalla madre Livia, moglie in seconde nozze di Augusto, una sontuosa villa marittima, da lui trasformata in un eccezionale museo dove volle artisticamente rappresentate alcune delle più celebri leggende dell’antichità. Soprattutto l’adiacente grotta aperta sulla spiaggia ai piedi del promontorio Ciannito – la spelunca origine del toponimo Sperlonga – offrì scenografica collocazione a 4 gruppi scultorei ispirati alle imprese degli eroi di Omero: Polifemo addormentato in procinto di essere accecato da Ulisse, Scilla nell’atto di aggredire la nave del re di Itaca e di far strazio dei compagni, e ancora Ulisse, ora sorreggente Achille morto, ora di ritorno con Diomede da Troia dopo averne trafugato il Palladio.
I superstiti frammenti di questi capolavori d’arte ellenistica di scuola rodia, insieme a quelli di molte altre sculture rinvenute nel sito, formano ora il vanto del Museo sorto nel 1963 a mezza costa, tra la macchia mediterranea e con magnifica vista sul mare, accanto ai resti della dimora imperiale. Nuovi elementi di questo arredo scultoreo potrebbero essere recuperati da future campagne di scavo, oltre a quelli rintracciabili nei depositi del Museo archeologico di Napoli, come appunto è avvenuto ad una statua di Andromeda la cui provenienza dalla villa tiberiana è stata riconosciuta dalla dottoressa Marisa de’ Spagnolis, già direttrice di quest’area archeologica. Per valorizzare il prezioso reperto, ora nelle collezioni del Museo di Sperlonga, è in corso fino al 27 luglio la mostra Andromeda e la nascita del corallo, organizzata dalla de’ Spagnolis e dalla locale amministrazione comunale; mostra che, grazie alla collaborazione con l’Istituto Superiore “F. Degni “ e con Assocoral di Torre del Greco, è arricchita – nell’Auditorium della cittadina laziale – da raffinati abiti e lavori in corallo ispirati al mito di Andromeda, col coinvolgimento di noti artigiani del comune vesuviano famoso fin dall’800 per la produzione di cammei, gioielli e oggetti ricavati da questa che un tempo si riteneva una specie del regno vegetale a causa della sua forma arborescente, mentre in realtà appartiene al regno animale.
Ma chi era Andromeda e come mai le è associato il corallo?
Figlia di Cefeo, re d’Etiopia, venne incatenata ad una rupe in prossimità del mare per essere sacrificata al mostro marino Cetus, mandato dal dio Poseidone per punire la madre di lei, Cassiopea, di essersi ritenuta più bella delle Nereidi. Per sua buona sorte, la fanciulla prigioniera fu scorta da Perseo, eroe di molte imprese, reduce sul cavallo alato Pègaso dall’uccisione di Medusa, la cui testa coronata di serpenti egli portava con sé quale trofeo. Chi la guardava, anche se morta, restava pietrificato, per cui fu facile a Perseo sbarazzarsi di Cetus. E altrettanto facile gli fu ottenere da Cefeo, come premio, la bellissima figlia in sposa. Più tardi Andromeda venne da Atena collocata nel cielo come costellazione.
Questo, in sintesi, il racconto mitologico, che con diverse varianti è tra quelli che hanno maggiormente affascinato gli artisti dal VI secolo a. C. fino ai nostri tempi. Basti pensare al suo revival nel Rinascimento, epoca di riscoperta delle Metamorfosi di Ovidio; senza contare il successo avuto – ai nostri giorni – da film come Scontro di Titani di Desmond Davis (1981), che reinterpreta le avventure di Andromeda e Perseo con grande sfoggio di effetti speciali, come nella scena davvero spettacolare del mostro marino.
Già di tale mito ci erano pervenute innumerevoli rappresentazioni sulle ceramiche greche ed apule, e in affreschi e mosaici di epoca romana. Non così in opere scultoree. L’esemplare di Sperlonga, l’unico esistente del personaggio, raffigura la fanciulla con le braccia allargate e ai polsi anelli cui dovevano essere collegate le catene fissate alla roccia. Testa, braccia e piedi sono in marmo bianco, mentre è grigio quello della veste.
Mancano le statue di Perseo e del mostro Cetus che dovevano completare il gruppo, probabilmente inserito nella roccia del Ciannito in prossimità del mare, così come l’ha immaginato il pittore e fotografo canadese André Durand: riemergeranno un giorno anch’esse da futuri scavi subacquei? L’incentivo potrebbe venire proprio da questa mostra. Certo che un tale soggetto si prestava magnificamente ad ornamento di una villa marittima.
Quanto alla nascita del corallo, come cantò Ovidio nel suo poema e anche Plinio il Vecchio sottolineò nella sua Storia Naturale, dopo l’uccisione di Cetus da parte di Perseo il sangue gocciolante dalla testa recisa di Medusa imporporò e rese rigide le piante acquatiche in cui l’eroe l’aveva deposta. Era nato il corallo, da allora ritenuto un portafortuna!