La bella morte

G. Paisiello, Missa defunctorum. Ravenna Festival, direttore Riccardo Muti.

È stellato e luminoso il Paradiso nel mosaico absidale di Sant’Apollinare in Classe. Crea l’atmosfera giusta per il Requiem di Paisiello, nell’edizione del 1799 – capolavoro semisconosciuto ai più. Il musicista tarantino è sobrio e sereno. Le melodie sono, si direbbe, cullanti come una ninna-nanna per il riposo del defunto, animate da una speranza di un aldilà di pace.

 

Lo esprime subito l’Introito, affidato alla voce dolce del soprano; seguono poi il Dies irae, privo del catastrofismo consueto, alternato al lirismo delle voci e del coro. Gli archi e i legni accompagnano il quartetto dei solisti, mai sopravanzandoli, perché Paisiello, compositore d’opera, sa distribuire bene i colori e le dinamiche. Possente il Libera me conclusivo, dove il compositore mostra l’energia di cui è capace nella richiesta a Dio di ottenere la felicità eterna.

È un’ora e mezzo di musica armoniosa come l’ultimo Settecento sa esserlo. Riccardo Muti, innamorato della partitura, non tralascia i dettagli, fa vivere ogni singolo strumento, lascia cantare le voci (Beatrice Diaz, Francisco Gatell, Anna Malavasi, Nahuel Di Pierro, giovani molto dotati) e fa muovere l’Orchestra Cherubini leggera, trepidante come un grande canto insieme all’ottimo Coro della Stagione armonica diretto da Sergio Balestracci.

Alla fine, si avverte che non c’è differenza tra il mosaico absidale e l’approdo conclusivo della Missa, attraversata da fremiti e da speranze. Fa sembrare bella la morte, ispirato il momento del trapasso.

 

Del tutto diversa invece è la Quinta Sinfonia di Ciaikovski che un energico Christoph von Dohnànyi interpreta con l’Orchestre de l’Opéra National de Paris. Spezzata, agitata, anche nell’Allegro moderato del valzer che dovrebbe stemperarne i bruciori. L’orchestra, in buona forma, non si risparmia. L’esecuzione diventa un diario gridato di una emotività che si fatica a controllare, di paura del futuro, di disarmonia interiore.

Per fortuna, la fantasia è libera di volare, ancor più nell’Offertorium, concerto per violino e orchestra della contemporanea russa Sofija Gubajdulina. La violinista tedesca Arabella Steinbacher è un fulmine elettrizzante dietro alle corse impazzite del violino. Un tripudio di colori, di estro guizzante. Si respira finalmente una conquistata libertà.

Successo immenso di pubblico, meritatamente: a Ravenna le novità sono di casa.

 

 

Classicadischi

 

Beethoven, IX Sinfonia. Pianista Maurizio Baglini, Decca. Il giovane concertista osa parecchio, eseguendo la trascrizione per pianoforte solo che Liszt, in quasi vent’anni di lavoro, ha completato dell’opera beethoveniana. Far fare a dieci dita quello che dicono centoventi strumentisti è impresa titanica. Baglini ci prova, e ci riesce stupendamente. Non solo per capacità tecnica, ma per il connubio tra il furore lisztiano e l’utopica grandiosità di Ludwig. Da non perdere.

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