La barbarie che dobbiamo fermare
La successione di aggressioni registrata nelle ultime settimane da un capo all’altro della Penisola, ai danni di persone ree soltanto di avere un colore della pelle più scuro o di essere originarie di altri Paesi, comincia a preoccupare seriamente chi vi riconosce i germogli di una intolleranza che ricorda tristemente i primi segni delle discriminazioni sperimentate 80 anni fa. C’è chi dice che, in fondo, le intolleranze ci sono sempre state. Quest’anno, però, sembrano fare ancora più rumore.
Aizzati da alcuni rappresentanti istituzionali, con politici che sfruttano abilmente la situazione di disagio della gente, alcuni cominciano a scaricare il peso delle frustrazioni quotidiane – mancanza di lavoro o attività precarie, emarginazione sociale, senso di insicurezza – sulle persone socialmente più fragili.
E così c’è stata l’aggressione a Cirasela, la bambina di poco più di un anno colpita vigliaccamente alla schiena con una pistola caricata a piombini mentre muoveva i primi passi con mamma e papà, nel silenzio di quella comunità – la nostra! –, di cui dovrebbe essere parte integrante e che è invece incapace di accettarla e difenderla. Incapace anche solo di chiederle scusa. Nell’inaccettabile silenzio istituzionale che è seguito al ferimento, una voce si è levata forte e chiara, la stessa che continua quasi quotidianamente a incitare gli italiani, a ricordarci chi siamo e come non dobbiamo diventare. «Mi ha colpito un fatto di cronaca di questi giorni – ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella -. l‘Italia non può somigliare a un Far west dove un tale compra un fucile e spara dal balcone ferendo una bambina di un anno, rovinandone la salute e il futuro. Questa è una barbarie e deve suscitare indignazione».
Il caso più grave, tuttavia, si è verificato ad Aprilia. Un gruppo di residenti ha inseguito uno straniero, credendolo un ladro, e in due lo hanno picchiato fino a provocarne la morte. Come nella giungla, dove vale la legge del più forte. Come in quel passato in cui chi governava lo faceva in base alla legge del “dividi e governa”, scatenando una guerra che in questo caso è tra poveri disperati: cittadini evidentemente provati da furti, disservizi e disagi, che non trovando uno Stato capace di difenderli, hanno decisi di fare da soli. E poi, dall’altra parte, un uomo giudicato senza difensori in un processo che non si è mai svolto e da cui è uscito con il massimo della pena, applicata immediatamente: la morte.
L’episodio che ha suscitato maggiore indignazione nell’opinione pubblica ha invece riguardato Daisy Osakue, atleta della nazionale azzurra di lancio del disco, colpita in viso da un uovo lanciato da un’auto in corsa. «L’hanno fatto apposta – ha detto la ragazza col viso tumefatto e le lacrime agli occhi -. Volevano colpire me come ragazza di colore». Tra gli indignati del web, qualcuno ha accusato gli aggressori: “Avete picchiato un’italiana!”. Come se, al contrario, malmenare uno straniero fosse cosa ammissibile. Tra le vittime degli attacchi con le uova, nella stessa sera, nella stessa zona, anche altre donne. Le forze dell’ordine, al momento, indagano per lesioni, ma senza l’aggravante razziale.
Per fortuna, accanto a tanti episodi di violenza, c’è un’ondata di solidarietà che non si fa farmare da queste vigliaccate, fatte solitamente in gruppo o senza farsi vedere. Ci sono stati i bagnanti di Crotone, che hanno portato in salvo un gruppo di migranti usando lettini e pedalò. Ci sono i cittadini di Castelberforte, che con il sindaco (leghista!) al loro fianco hanno salvato un ragazzo senegalese dal rimpatrio. C’è stata la ragazza svedese che – con metodi estremi – ha bloccato un volo aereo per evitare il ritorno in Patria di un richiedente asilo. Ci sono le persone che, quotidianamente, non si arrendono ai soprusi di chi vorrebbe trasformare diritti acquisiti in favori o cerca addirittura di negarli, e c’è quella professoressa che su Facebook ha raccontato come, insieme ad una cassiera, ha aiutato una mamma in difficoltà col suo bambino. Entrambi di colore. Nonostante le proteste indignate di chi era in coda. Solo per quel colore della pelle più scuro, che sembra oscurare la normale tenerezza che una scena del genere da sempre suscita in ciascuno di noi.
Un’ulteriore riflessione si fa largo poi nella mente. Se gli episodi di intolleranza che si stanno verificando ci spingono a credere che il cattivo esempio mostrato da alcuni nostri governanti sia stato preso a modello, trasformandosi in azioni di rifiuto e veri e propri attacchi a chi viene considerato diverso, dall’altro lato mostra evidentemente anche la distanza che i cittadini sentono dallo Stato. Un governo che parla, anzi, twitta di continuo attraverso i suoi rappresentanti, ma che evidentemente non riesce a risolvere i problemi di chi rappresenta. Non si spiega altrimenti la decisione, di tante persone, di agire come se uno Stato (e i suoi rappresentanti) non esistesse. Eppure, lo Stato siamo noi. E se quest’immagine un po’ razzista che ci stanno attribuendo non ci piace, possiamo davvero cercare di scollarcela di dosso.