La bara bianca di Yusuf
A Lampedusa non c’era una bara per piccolo Yusuf. Nell’isola c’erano solo bare per adulti e il piccolo corpicino è stato composto in una grande cassa in noce. È arrivata dalla terraferma la piccola bara bianca e due giorni fa la salma del neonato, morto l’11 novembre nel naufragio di un gommone davanti alle coste di Lampedusa, riposa nel cimitero dell’isola delle Pelagie.
Yusuf Ali Kanneh era tra le braccia della mamma ma le onde, purtroppo, hanno avuto la meglio. La mamma, 17 anni, si trova nel centro di accoglienza, il papà ha assistito al rito funebre via internet. Due genitori giovanissimi che, spinti dalla disperazione, hanno deciso di affrontare le onde del mare. Dalla Guinea è partita la giovane donna, insieme al bimbo, il papà per ora era ancora in patria. “I lose my baby” (ho perso il mio bambino): le grida della giovane donna ai soccorritori le abbiamo udite attraverso le immagini della tv.
Nella sua pagina Facebook, il parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra, aveva scritto: «Caro Yusuf, nei tuoi sei mesi di vita, niente avesti da bambino, né una culla, nè giochi, nè serenità o pace. Ora da bambino non hai nemmeno la bara. Sei mesi e mai hai potuto essere bambino, come la tua mamma giovanissima e già al colma di dolore. Noi oggi e sempre, qui, siamo la tua famiglia. Ci vediamo in cielo dove saremo bambini per sempre». Poi era comparso un piccolo manifesto funebre, tutto per lui.
E su “Forum Lampedusa Solidale” si legge:
« Viviamo in un piccolo paese, meno di 6.000 anime. Ci si conosce tutti. Lampedusani e “forestieri”. La morte di uno/a di noi viene annunciata dal rintocco delle campane della locale parrocchia e diviene immediatamente lutto per l’intero paese. In questi anni, quando a essere sepolti nel cimitero dell’isola sono stati corpi – spesso senza nome – di uomini e donne morti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare, un gruppo di lampedusani (e forestieri) ha sempre organizzato una piccola cerimonia, laica. Chiunque partecipi (cattolico, protestante, musulmano o ateo che sia) ha le proprie motivazioni individuali, religiose, etiche, personali. Ciò che ci accomuna è la consapevolezza del valore politico di questo rito. Noi siamo lì in sostituzione dei parenti e degli amici di chi è morto, siamo lì al posto di chi ha titolo a chiedere giustizia per una (l’ennesima) morte assurda. Siamo lì al posto di tutte le persone che sarebbero con noi se potessero. Siamo lì per denunciare la disumanità di leggi e politiche che condannano a morte esseri umani. Siamo lì, con i nostri corpi per compiere un atto di resistenza civile. Siamo lì. Oggi eravamo lì. Lui aveva solo 6 mesi».
Il sindaco Totò Martello ha pubblicato su Facebook la foto del seppellimento. «Non è stato facile decidere di pubblicare questa foto, che racconta la cruda realtà. Adesso il piccolo Joseph riposa nel cimitero di Lampedusa».
Toccanti le parole dei volontari della Ong spagnola Open Arms: «”Ti chiediamo perdono Joseph. Abbiamo fatto il possibile, ma non è bastato. Il nostro immenso dolore ci darà la forza per continuare a operare per evitare altre morti come la tua. Che la terra Lampedusa ti sia lieve. Grazie al Forum Lampedusa Solidale per averti accompagnato”. Sulla tomba, una piccola maglietta rossa, simbolo di un’infanzia che gli è stata negata.
Gli altri migranti salvati nello sbarco, più di 250 persone, sono state trasferite sulla nave quarantena “Adriatica” al largo di Trapani. Sbarcati anche i corpi di altre cinque vittime del naufragio. E nel giorno del funerale gli sbarchi non sono cessati. La Guardia costiera e la Guardia di Finanza hanno tratto in salvo 31 persone che erano a bordo di una piccola imbarcazione che si è ribaltata. Il natante era stato avvistato già in acque territoriali maltesi, il salvataggio è avvenuto quando è entrato in acque italiane, a tre miglia da Lampedusa. Tanta paura, ma stavolta nessuna vittima. Un altro natante, con 186 persone a bordo, era stato scortato fino al porto di Lampedusa. E ora il centro di accoglienza è nuovamente al collasso. I trasferimenti verso la terraferma proseguono.
Un approdo anche a Pozzallo. Open Arms ha tratto in salvo, insieme alla Guardia Costiera della nave “Diciotti”, un gruppo di 95 giovani. Sono quasi tutti maschi, con loro ci sono due ragazze. Provengono da Costa d’Avorio, Nigeria, Gambia, Mali, Senegal, Ciad, Etiopia, Eritrea, Sierra Leone. Alcuni hanno segni di ustioni da idrocarburi, altri hanno la scabbia.