La banca liquida

Il tesoro miliardario di Cassa depositi e prestiti raccoglie i depositi postali che dovrebbero essere destinati agli investimenti pubblici. Ma così non avviene. Perché?  
Cassa Depositi e prestiti

Eni, la prima impresa energetica del Paese, Terna e Snam, cioè le società che gestiscono le reti elettriche e i gasdotti, e Fincantieri («uno dei gruppi cantieristici più grandi al mondo», spiega il sito Internet aziendale) hanno una cosa in comune: il loro azionista di riferimento, che una volta era lo Stato, oggi si chiama Cassa depositi e prestiti (Cdp).
La Cdp è diventata, nei fatti, la holding di partecipazioni del ministero dell’Economia e qualcuno la paragona alla vecchia Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale. Potrebbe anche essere, se non fosse che la Cassa ha oggi una struttura ibrida (che si dice pubblica, e per questo gode di alcuni vantaggi, ma agisce come se fosse un fondo d’investimento privato): da poco più di 10 anni, infatti, Cdp è una società per azioni e lo Stato ha ceduto una quota di capitale (il 18,4%) alle Fondazioni di origine bancaria.

Nonostante questo, Cassa depositi e prestiti continua a raccogliere – in virtù di un contratto con Poste italiane spa – il risparmio postale delle famiglie, quello depositato presso i libretti di risparmio e quello investito in Buoni fruttiferi postali, godendo (in questo caso) anche di una garanzia dello Stato, che in caso di fallimento sarebbe il “pagatore di ultima istanza”.

Cdp riconosce di aver assunto «nell’ultimo decennio, una funzione centrale nelle politiche industriali dell’Italia» (Relazione finanziaria annuale 2015), ma evita di ricordare che lo ha potuto fare, in larga parte, grazie alle risorse incamerate con la raccolta postale, pari a oltre 252 miliardi di euro a fine 2015.

Negli anni della crisi, mentre il sistema bancario italiano languiva sotto il peso delle “sofferenze”, cioè dei crediti a rischio, Cdp è diventato il “mattatore” dell’economia italiana: il soggetto da coinvolgere in ogni nuovo progetto di matrice governativa – dalla banda larga all’housing sociale, cioè l’edilizia privata a canone agevolato –, l’unica “banca” liquida che poteva finanziare la realizzazione di infrastrutture autostradali (il Passante di Mestre, la Brebemi), la costruzione di inceneritori per i rifiuti, e il “salvatore” invocato a fronte di situazione di grave crisi industriale (ad esempio, auspicando un intervento sull’Ilva ). “Banca” è scritto tra virgolette perché la Cassa non è sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia, a differenza degli altri istituti di credito.

C’è un dato che, su tutti, spiega cosa è cambiato: dei 29,8 miliardi di euro di risorse mobilitate nel 2015, appena 5,8 sono andate agli enti locali e ben 22 alle imprese (più 2 per le infrastrutture).

Solo nel 2014, l’impegno a favore degli enti locali era stato pari a 11,4 miliardi di euro (su un totale di 28,5). Ma Cassa depositi e prestiti è nata nel 1850 per sostenere l’economia pubblica, cioè gli investimenti di pubblico interesse realizzati dal sistema di comuni, province e regioni. Oggi, attraverso una serie di fondi e società di gestione del risparmio – tra i più importanti ci sono il Fondo strategico italiano, il Fondo italiano per le infrastrutture, F2i, CDP Immobiliare –, la Cassa sta invece partecipando attivamente al processo di dismissione del patrimonio pubblico, coordinando la vendita di beni immobili, anche di valore storico e architettonico, come la città-fortezza di Peschiera sul Garda (Verona), da valorizzare, oppure “acquisendo” partecipazioni strategiche che gli enti locali sono costretti a dismettere, nel capitale di società di gestione di servizi pubblici locali, o aeroportuali.

Dopo anni di “corsa” e di crescita continua, però, nel 2015 il “Gruppo Cdp”, ovvero la holding di fondi e partecipazioni, ha avuto una battuta d’arresto, registrando, secondo il progetto di bilancio approvato a metà aprile, una perdita netta di circa 900 milioni di euro. Secondo una nota, sarebbe «riconducibile al risultato d’esercizio 2015 di Eni».
Un segno meno che pesa e che potrebbe invitare il ministero dell’Economia a rivedere il mandato di Cassa depositi e prestiti: nell’autunno del 2013, pubblicando La posta in gioco (Altreconomia edizioni) con Antonio Tricarico, auspicavamo una ri-pubblicizzazione di Cdp perché il «risparmio postale, se gestito in altro modo, può davvero portare fuori dalla crisi promuovendo un’economia diversa, più equa e giusta sui territori».

 

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