La app dei migranti per dire: «Sono qui»

Attraverso l’applicazione “Hi Here”, i richiedenti asilo potranno registrare un profilo personale con cui ricostruire i legami interrotti con parenti e amici alla partenza e allo stesso tempo esprimere commenti, segnalare criticità e particolari problematiche, permettendo un monitoraggio “dal basso” dell’intera rete dei servizi a loro dedicati
Il logo della app

Nei loro viaggi verso l'Europa, tutti i migranti hanno con sé un oggetto a cui spesso si allude in tanti dei luoghi comuni che accompagnano le discussioni che capita di sentire o leggere sul tema dell’immigrazione: «Sono poveri e scappano dalla guerra, ma intanto in tasca hanno uno smartphone ultimo modello». E chi non ce l’ha, una volta arrivato cerca di procurarselo, si potrebbe aggiungere.

 

Anni fa, parlando con alcuni immigrati africani in un centro di accoglienza alle porte di Torino, mi avevano colpito profondamente due fattori che ricorrevano nella maggioranza dei loro racconti. Emergeva, da una parte, come il vero senso di esclusione percepito fosse quello di non poter comprendere i propri diritti. E poi, che la prima necessità una volta arrivati sulle coste italiane fosse di trovare un modo per comunicare con i familiari nei Paesi di origine, per poter semplicemente dire «sono salvo», dopo mesi di interruzione delle comunicazioni. E pensando alla nostra indigestione quotidiana di comunicazione, mi rendevo conto di poter comprendere quell’angoscia solo attraverso lo sguardo con cui condividevano quelle loro esperienze.

 

Ecco perché lo smartphone assume per i migranti una grande importanza per quella sopravvivenza che a volte viene prima di tutte le altre: quella dei legami e degli affetti. Infatti, come è comprensibile, è attraverso questi strumenti che possono accedere ai social media per dare informazioni di sé, rintracciare parenti sparsi nei diversi Paesi europei e raccogliere informazioni sui servizi locali di accoglienza e sul diritto d’asilo.

 

Tre ragazze italiane, resesi conto di questi bisogni concreti espressi dai richiedenti asilo stessi, hanno pensato di creare per loro una app, "Hi Here", per creare una rete di supporto reciproco in cui poter esprimere la propria voce attraverso la semplicità di utilizzo dello smartphone. L'ideatrice è Martina Manara, giovane ricercatrice di Parma, che ha studiato a fondo i sistemi italiani di accoglienza dei rifugiati (Sprar e Cara). Con lei ci sono Caterina Pradò di Trento, laureata in Architettura, e Gloria Carabona, di Mantova, laureata in Lingue e culture del Mediterraneo e in Cooperazione, sviluppo e diritti umani, che del gruppo è l’esperta della ricerca fondi.

 

Attraverso l’applicazione, i richiedenti asilo potranno registrare un profilo personale con il quale ricostruire i legami sociali interrotti con parenti e amici, oltre a una parte informativa in quattro lingue – italiano, inglese, francese e arabo – con gli elementi base della legislazione in materia di asilo del Paese ospitante. A disposizione delle ong, poi, c’è una bacheca dove poter inserire annunci e informazioni.

 

Nella logica partecipativa dei social network "Hi Here" non è uno strumento unidirezionale. Attraverso di essa, infatti, i migranti potranno esprimere commenti, segnalare criticità, richiamare l’attenzione su particolari problematiche, permettendo un monitoraggio “dal basso” dell’intera rete dei servizi a loro dedicati.

 

La sperimentazione della app partirà dalle città di Parma, Trento e Foggia il prossimo 16 maggio e, se la tabella di marcia lo permetterà, potrà essere lanciata ufficialmente il 30 giugno.
Programmare un’app è un’operazione abbastanza costosa e per sostenere economicamente lo sviluppo di "Hi Here" è stata lanciata una raccolta fondi su Internet (raggiungibile a questo link: https://www.indiegogo.com/projects/help-us-to-make-hi-here-app-a-reality), a cui chiunque può partecipare, anche con un piccolo contributo.

 

"Hi Here" dimostra come la tecnologia, che spesso demonizziamo, se usata intelligentemente, possa diventare uno strumento per migliorare aspetti della nostra vita. E in questo caso, possa trasformarsi in uno strumento di integrazione e aiuto concreto.

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