La “A” che vince la solitudine
La comunicazione oggi sempre più celata dalla mentalità edonista e secolarizzata esige "oasi" di confidenza sincera per "Diventare se stessi" come recita il libro di Mons. Petrocchi e il brano del secondo appuntamento della rubrica
La carica creatrice ma anche fortemente destabilizzante della solitudine è sicuramente tra gli aspetti maggiormente identificabili del nostro secolo. Ma a farne le spese spesso sono giovani, adulti, anziani e famiglie che dovrebbero essere invece luoghi, se non "oasi" della comunicazione – come li definisce Mons. Petrocchi nel libro "Diventare se stessi" –. La riflessione del vescovo di Latina sulla natura del legame tra amore e comunicazione necessari alla piena realizzazione dell’individuo per il secondo appuntamento con la rubrica.
«Il Verbo si è fatto carne, e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Il Natale spezza la catena della solitudine umana: Dio si fa uno di noi e prende dimora nella nostra vita. E non solo per un breve arco di tempo, ma per tutti i giorni, fino alla fine del tempo (cf. Mt 28, 20). Dalla santa notte di Betlemme, nessuno al mondo è più lasciato solo a se stesso, privo di vera “prossimità”, poiché l’Uomo-Dio, facendosi nostro compagno di viaggio, ha condiviso, fino in fondo, la sorte di tutti e di ciascuno.
Sì, non siamo più soli. Gesù, infatti, ci ha raggiunto anche negli angoli più sperduti di noi stessi, nelle vicende più oscure della nostra storia, come nei più aridi deserti del mondo in cui viviamo. Assumendo un’umanità in tutto simile alla nostra, fuorché nel peccato, il Figlio di Dio è diventato Colui che ci-sta-accanto, sempre e dovunque. Se accogliamo questo messaggio, siamo liberati, una volta per tutte, dal timore-di-fondo che talvolta, risalendo dalle profondità dell’anima, ci getta in un cupo sconforto: quello di essere lasciati soli a fronteggiare le insidie dell’esistenza.
L’angoscia-fontale, infatti – come insegnano anche le scienze umane –å, non scaturisce dall’impatto con i problemi, ma dalla sensazione di non avere vicino nessuno che ci capisca e ci aiuti a superarli. Si sa bene, ormai, che la paura-madre di ogni altra paura è il terrore di essere abbandonati e di non poter contare su altre mani, oltre che sulle nostre, per sciogliere i nodi più intricati e dolorosi delle vicende personali e collettive. È l’esperienza lacerante di non sentirsi amati e di rimanere privi di soccorso: non c’è, infatti, un avvilimento più oscuro dell’avvertenza di non-contare per quelli che per noi invece valgono molto e di essere messi da parte proprio da loro.
Prendete un bambino: privatelo della considerazione e dell’affetto dei suoi genitori, e ne avrete fatto un nevrotico. Togliete a un adolescente la cura benevola e la guida ferma degli adulti, e lo avrete esposto al rischio di comportamenti devianti. Sottraete a una persona matura la consapevolezza di essere apprezzato per ciò che è e per ciò che fa, e gli avrete caricato addosso un’ansietà che lo paralizza. Spegnete in un anziano la certezza di avere ancora molto da dire e da dare, e lo avrete ucciso prima che muoia.
L’Emmanuele, il Dio-con-noi, sa cosa porti nel cuore, conosce ogni particolare della tua vita, comprende perfettamente le aspirazioni che scorrono nel segreto della tua anima. Anche i pensieri che nemmeno osi dire a te stesso e che mai potresti comunicare ad altri, Gli sono noti. Anzi, Egli è più interiore a te di quanto tu lo sia a te stesso: tutto condivide, tutto abbraccia con il Suo amore e su tutto irraggia la sua grazia. Il Natale annuncia che agli occhi di Dio tu sei importante, infinitamente. Tanto che ha mandato nel mondo il suo Figlio perché ti fosse aperta una via di salvezza. E se – per assurdo – tu fossi stato l’unico abitante della terra ad aver bisogno di redenzione, il Verbo si sarebbe incarnato ugualmente nel seno della Vergine Maria: proprio per te, per non lasciarti solo e donarti la gioia di una vita nuova. Il Suo non è un amore-sotto-condizione: per quanti errori tu possa aver commesso, Dio ti vuole bene, immensamente. È Lui che lo dichiara, con accenti commoventi: «tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43, 4). E aggiunge, con un’immagine piena di tenerezza: «ho scritto il tuo nome sulle palme delle mie mani» (cf. Is 49, 16).
E come vale per te, questa promessa vale anche per ogni altro essere umano. Non c’è, nella storia, dei singoli come delle nazioni, una notte così oscura in cui Egli, nascendo, non abbia acceso la fiamma della speranza. Perciò nessuna “partita” esistenziale – di quelle da cui dipende la sorte della tua vita – è definitivamente persa: fino all’ultimo respiro, ti è data gratuitamente una possibilità di recupero e la forza per ribaltare i risultati. «Accogliamo – allora – la mano che Egli ci tende: è una mano che nulla vuole toglierci, ma solo donare» (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, Natale 2005).
Il Natale ti dice pure che da soli non possiamo far niente: dalla fossa dell’“io” rinchiuso-in-sé non usciamo senza un aiuto dall’Alto: le mura della delusione, della rabbia, dell’egoismo non si scavalcano con le nostre forze. Se, mobilitando le poche risorse che abbiamo, potessimo dare significato e pienezza alla nostra vita, pagando il prezzo del nostro riscatto dal male, il Figlio di Dio non avrebbe dovuto calarsi nella nostra storia. Ma non siamo i redentori di noi stessi; né possiamo – senza il Signore – portare a perfezione il positivo che scopriamo in noi e negli altri. Proprio così: senza Gesù non c’è salvezza. Di Lui non possiamo fare a meno. Il Natale ci comunica che quella pienezza di Vita che invano andremmo a cercare altrove, è a portata di mano: ci si è fatta incontro e bussa all’uscio di casa nostra. Non chiede altro, se non di essere accolta. Certo: abbiamo la libertà di dire “no”. Ma ogni “no” detto alla Vita è un sì detto alla “morte”. Rifiutando l’Uomo-Dio restiamo prigionieri del negativo che ci abita e inevitabilmente diventiamo gli aguzzini di noi stessi.
Il Natale ci porta la lieta notizia che tutto ciò che accade ha un significato e una destinazione: nessuno è abbandonato allo scandalo del “non-senso” della sua vita. Da quando il Verbo-fatto-carne ha preso dimora nel tempo, abbiamo la certezza che nessun grido rimarrà senza risposta, nessun atto di generosità resterà privo della giusta ricompensa, nessun desiderio, degno di Dio, è destinato a sprofondare nella delusione. Se facciamo-Natale, perciò, non abbiamo nulla da temere, per quanto grande possa essere “l’onda contraria” che si abbatte su di noi: se stiamo dalla parte di Gesù, tutto finirà in bene. E anche l’avventura più drammatica avrà un lieto fine. Dio, infatti, non vuole il male: né spirituale, né fisico. Se lo permette, è perché da esso può trarne un bene. Dall’istante in cui l’Amore è nato nella nostra storia, il male non può più avere l’ultima parola. Il Signore-che-viene ci dà l’incrollabile sicurezza che la verità ha la meglio, l’amore vince, la speranza vedrà realizzate le promesse in cui ha creduto.
Nella misura in cui, nel nostro cuore, “facciamo spazio” al Signore-che-viene diventiamo capaci di “farci compagnia” e impariamo a dialogare con noi stessi, comprendendo, alla scuola di Colui che è la Verità-fatta-carne, chi siamo, da dove veniamo e verso dove stiamo andando. E chi – accogliendo Gesù – trova se stesso, è spinto a non rimanere barricato nella sua interiorità, ma è invitato a protendersi verso gli altri, per renderli partecipi della “novità del Vangelo” e, con loro, fare-comunione. Infatti, quelli che libera dal ghetto della solitudine, il Signore li manda a donare la stessa Amicizia di cui sono stati arricchiti, perché nessuno resti più senza consolazione, vagando privo di vera fraternità.
Di questi testimoni della “buona prossimità e del dialogo” – con se stessi e con gli altri – la cultura contemporanea ha un immenso bisogno: poiché è segnata dal triste paradosso di una progressiva perdita di ampiezza e di significato delle relazioni interpersonali. Nella nostra epoca, infatti, le distanze spaziali sembrano annullate e le notizie corrono a “tempo reale”, tuttavia aumenta il livello globale di solitudine, e non solo tra le categorie tradizionalmente più esposte (anziani, malati, emarginati…), ma – e sempre più spesso – anche tra i bambini, i giovani, gli adulti (strati sociali, cioè, in cui le reti relazionali dovrebbero svilupparsi con grande intensità e ampiezza). Non è forse vero che i massmedia concorrono frequentemente a innalzare l’indice di estraneità reciproca, anche in casa? Infatti, monopolizzando l’attenzione – e riducendo gli spazi di colloquio – rendono i lontani vicini, ma pure finiscono col trasformare i vicini in lontani, dal momento che i vari soggetti, che pure coabitano, si considerano poco o quasi si ignorano.
Natale ci aiuti, allora, a riaprire o ad allargare le strade del dialogo e ci consenta di abbattere i recinti della solitudine, ovunque questi siano stati innalzati. Sia davvero, questo Natale, festa dell’incontro e della accoglienza.
Maria, la Donna della Parola, Modello di comunione, Madre del Dialogo, ci insegni a vivere il Natale, per sconfiggere ogni situazione di indifferenza, di chiusura o di inimicizia, e ci dia l’entusiasmo per rendere la nostra vita una vera celebrazione della Carità e dell’Amicizia.
Al “sì” di Dio, che ci ha donato Gesù, risponda, con pienezza, il nostro “Amen” di gratitudine e di gioia.