Kuwait, un cammino democratico in stile mediorientale

In Kuwait è in atto dal 1962 un cammino democratico che tiene conto delle radici culturali di un Paese arabo e mediorientale. Le recenti elezioni parlamentari kuwaitiane raccontano qualcosa di questo percorso, pur fra problemi e contraddizioni di non poco conto.  
Elezioni in Kuwait, foto Ap.

Kuwait è sinonimo di petrolio. E la conoscenza di questo piccolo emirato affacciato sul Golfo Persico per la maggior parte delle persone finisce qui. Per dare un’idea delle dimensioni, direi che il Paese è pressappoco grande quanto il Lazio, ma ha una particolarità: è l’unico Paese al mondo completamente privo di sorgenti d’acqua. O piove (quando accade) o niente.

Invece di petrolio ce n’è parecchio: il 10% delle riserve mondali. L’economia è evidentemente basata sul petrolio e sulle risorse finanziarie che derivano dall’oro nero. Risorse attraverso le quali è possibile, fra l’altro, produrre, attraverso la desalinizzazione dell’acqua marina, tutta l’acqua potabile necessaria, poi immagazzinata e distribuita attraverso 33 torri alte 35-40 metri sparse a gruppi nel territorio.

Ma il Kuwait è un Paese particolare e con diversi interessanti primati, soprattutto se lo si paragona ai suoi vicini mediorientali. Per citarne alcuni, tra quelli che colpiscono di più, ha il più alto tasso di scolarizzazione del mondo arabo ed è il Paese con la più elevata libertà di stampa del Medio Oriente (è rigorosamente vietato parlare male solo dell’Emiro, ed è meglio non rischiare, date le sanzioni previste anche solo per un sospetto, vero o falso che sia). Il Kuwait è inoltre considerato il 4° Paese più ricco al mondo, se si rapporta la ricchezza prodotta al numero dei suoi cittadini (85% musulmani: 60% sunniti, 25% sciiti; 15% di altre religioni). Ma qui casca l’asino (o sarebbe meglio dire il cammello?).

I cittadini kuwaitiani sono pochi (ed è molto difficile ottenere la cittadinanza): in pratica sono circa 960 mila, un’élite se si considera che invece gli abitanti del Paese sono circa 4,2 milioni. Vale a dire che 3,2 milioni abbondanti sono stranieri residenti per motivi di lavoro, ovviamente senza passaporto kuwaitiano. Ma c’è un’altro non trascurabile gruppo di kuwaitiani, oggi forse 100 mila, persone prive di passaporto, cittadinanza, assistenza sanitaria, diritto all’istruzione, ecc. Apolidi per legge (dal 1986), insomma: sono quelli che vengono chiamati bidoon (che in arabo significa: senza), nel senso che sono senza cittadinanza (bidoon jinsiya).

Sono di fatto kuwaitiani, sono nati ed hanno sempre vissuto nel Paese, ma non possono uscirne, anche se da qualche anno viene talora concesso un passaporto che permette loro di viaggiare ma non concede la nazionalità. Molto spesso sono figli di genitori entrambi bidoon, ma anche di una cittadina kuwaitiana che ha sposato uno straniero o un bidoon: la madre non può trasmettere la cittadinanza ai figli, solo il padre può farlo. E qui si potrebbe spalancare un capitolo enorme, quello della condizione della donna. Tema evidentemente complesso, che non posso certo affrontare in queste poche righe: invito i lettori interessati a documentarsi.

Quello che invece mi preme qui aggiungere riguarda la politica e in particolare le recenti elezioni parlamentari che si sono svolte in Kuwait a fine settembre 2022. Anche perchè è un esempio significativo dell’evoluzione di una società araba e islamica.

Il Kuwait, come detto sopra, è una monarchia (emirato) ereditaria (l’Emiro è membro della famiglia al Sabah dal 1756), e costituzionale fin dall’indipendenza dagli inglesi (1961). Il Parlamento (Majlis al Umma) è costituito da 50 deputati, eletti ogni 4 anni: è il più antico organo legislativo del Golfo Persico ed anche il più indipendente della regione. Nel 1992, quando è stato costituito il Parlamento, gli elettori erano i cittadini maschi, con cittadinanza da almeno 30 anni e non militari, pari a 139 mila persone. Nel 2005, dopo lunghe battaglie civili, il Parlamento ha esteso il diritto di voto (attivo e poi passivo) anche alle donne. Attualmente gli aventi diritto al voto sono circa 796 mila (meno del 19% degli abitanti). Un innegabile progresso comunque.

Il Movimento Costituzionale Islamico, un partito locale affiliato alla Fratellanza musulmana, e finora all’opposizione, avrebbe raccolto la maggioranza dei consensi nelle ultime elezioni.

Al-Quds al-Arabi (quotidiano panarabo pubblicato a Londra e di proprietà qatariota, dunque vicino alla Fratellanza musulmana internazionale) elogia la votazione, definendola una “promettente esperienza di democrazia araba”, dal momento che “i risultati delle ultime elezioni e le correzioni degli errori del passato sono indice della maturità negli orientamenti sociali e politici degli elettori, dimostrando che l’ingiusta accusa lanciata da alcune persone disoneste nei circoli occidentali – ossia che gli arabi siano incapaci di praticare la democrazia e accettarne i principi teorici – è una falsità orientalista e razzista”.

Il commento del quotidiano egiziano al-Ahram, ostile come il presidente al-Sisi alla Fratellanza musulmana, riconosce i progressi del Kuwait nel rafforzamento del percorso democratico, ma disapprova i principi della Fratellanza, che considera una sorta di sterile mescolamento di religione e politica.

È comunque molto interessante comprendere in qualche modo un cammino, con un’evoluzione culturale diversa da quella occidentale, che il concetto di democrazia sta percorrendo nel contesto mediorientale.

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