Kostas, la nuova fiction italiana ambientata in una Grecia fragile

Stasera, in prima serata su Rai1, "Kostas", una serie prodotta da Palomar
Una scena della serie tv "Kostas". Fonte: Elisavet Moraki/Kinoweb.it

Comincia stasera, 12 settembre, la nuova stagione delle fiction di Rai1. Lo fa con un prodotto per certi versi insolito, parzialmente sorprendente: una fiction che se sulla carta ricorda l’enorme Montalbano, passato l’incipit col mare dolce e una casa deliziosa sulla spiaggia, si allontana rapidamente dal commissario siciliano, a modo suo archetipico.

Che Kostas, questo il titolo della serie diretta da Milena Cocozza e interpretata da Stefano Fresi nei panni di un bravo detective, rientri tra quelle che si contendono l’eredità del Salvo camilleriano, è vero solo relativamente. In percentuale nemmeno troppo alta. Perché? Perché sebbene Kostas sia prodotta dalla Palomar, la stessa — da sempre — de Il commissario Montalbano, l’atmosfera che si crea puntata dopo puntata (quattro, in tutto, di circa un’ora e quaranta l’una, per quattro giovedì di seguito in prima serata) si sposta da quella, per altro inimitabile (lo sa anche il Saverio Lamanna di Màkari), del poliziotto grande appassionato di arancine.

La prima differenza, forte, è che non siamo in Italia, ma in Grecia. E non su una delle sue numerose e incantevoli isole, ma ad Atene. Città di monumenti —  e se ne vedono — ma anche (soprattutto) di angoli discreti, anonimi, urbani non sempre luminosi. Talvolta grigi. Una città filmata nella sua faticosa normalità, nel suo aspetto metropolitano, specchiata nelle fragilità interiori del suo Paese.

La seconda differenza è che siamo nel 2009, alla vigilia della crisi che colpì la Grecia, e la terza, importante, è che la Grecia stessa, coi suoi problemi di quegli anni, con la sua Storia contemporanea complessa e dolorosa, entra eccome nel racconto. Interagisce coi personaggi più vistosamente e puntualmente di come l’Italia si sia intrecciata negli anni con le vicende di Salvo Montalbano.

Una scena della serie tv “Kostas”. Fonte: Elisavet Moraki/Kinoweb.it

Unico, stupendo, prezioso, certamente capace di intercettare temi caldi, attuali, ma anche di abitare, in qualche modo, in una bolla tutta sua, nel suo barocco incantevole, nei suoi scorci e nelle sue terrazze, nel verde smeraldo delle sue acque. Nei luoghi di Montalbano, appunto, di una Sicilia letteraria, pseudo favolosa, marcata nei suoni ma anche “astratta” per bellezza e suggestioni.

La serie Kostas, invece, che nella scelta di sradicare tanti attori italiani dalla loro terra, per farne personaggi greci in tutto e per tutto, costruisce la sua sfida non semplice e non sempre vinta, mostra un paesaggio meno cartolinesco ma molto spesso sociale e storico. Poi, certo, Kostas Charitos, capo della Sezione Omicidi della Polizia della capitale greca, personaggio nato dalla penna di Petros Markaris, è acuto nel suo lavoro come lo è Salvo. È uomo giusto, sensibile e pieno di umanità come lo è il commissario con la Fiat Punto attempata. Chiude, al pari dell’omologo, i casi ad ogni epilogo con brillante puntualità.

Ma insomma, come dire, il mondo che si muove attorno ai due, dentro di loro, ha un sapore diverso. Ecco. Non è tanto una questione caratteriale o sentimentale, nel senso che Kostas è sposato e vive la sua relazione con la moglie (Francesca Inaudi) in modo appassionato e quotidiano. Anche buffo e tenero. Non c’entra che quest’ultimo sia anche un padre attento, premuroso e pure un po’ geloso, mentre Montalbano è innamorato di Livia, certo, ma è anche intimamente solitario. Non c’entra nemmeno che Kostas ami le parole più delle arancine, e addirittura si fermi spesso ad aprire il vocabolario per leggere il loro significato. Per riflettere su queste, cercando di trarre da loro utili risposte.

Tali differenze, che sono approfondimenti psicologici, marcature del carattere, non rappresentano la vera diversità tra i due personaggi, semmai li rendono simili nella distanza, paralleli, nel senso che tutti e due hanno la loro gradevole e complessa personalità. La differenza tra le due serie, per altro scritte dallo stesso sceneggiatore, Salvatore De Mola, la fanno invece il background e il passato di Kostas, che ha avuto come padre un poliziotto duro (in famiglia) e allineato col regime. Forse complice, se non altro passivo con la dittatura dei colonnelli (anche se per conoscere bene questo aspetto del racconto bisogna attendere parecchio).

Certo è che il conflitto privato vissuto da Kostas — di suo padre fa persino fatica a parlare (un dissidio durato anni che per forza di cose si allarga a qualcosa di più grande, di pubblico e appunto storico) lo allontana dal suo illustre predecessore. Eppure, proprio per questa sua personalità altra, coraggiosa, per questa sua strada più nuova che battuta, per questa sua originalità di fondo, anche rischiosa, Kostas, al di là dei suoi limiti da dividere tra i vari reparti che compongono un prodotto audiovisivo, si può definire un esperimento interessante. Anche grazie alle sfumature del protagonista: deciso sul lavoro e rispettoso delle donne, presente in famiglia fino a rendere funzionale la sua (ed è un sottotema della serie), ma, come detto, soprattutto per la pressione del paesaggio sui vari personaggi. Principali e gregari. Positivi e negativi.

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