Koikyla – la moglie del guru
L’epiteto del prof. Sureshchandra Upadhyaya è guru, quello di Koikyla è la moglie del guru. Ho sentito molta gente rivolgersi a lei con un ‘mata-ji’. ‘Madre’, seguito dal ‘ji’ sempre presente per il rispetto dovuto. Silenziosa, discreta, spesso presente per ore a fianco del marito senza dire una parola. Ma una presenza mai casuale, mai di dovere, mai di costrizione. La sua presenza era sempre sostanziale ben al di là della dimensione fisica. Ovviamente negli ultimi anni era anche quella, spesso, di sostenere il professore sia per i problemi di vista che di deambulazione, ma avendo visto la coppia fin dagli anni Ottanta del secolo scorso devo dire che rivelavano, già allora, con la loro presenza un rapporto sostanziale fra uomo e donna. Koikyla, in qualche modo, era un tutt’uno con Sureshchandra, ma sempre profondamente se stessa, nel suo silenzio, nella sua discrezione caratterizzata, tuttavia, da uno sguardo dolce e penetrante allo stesso tempo.
Se ben ricordo, le prime volte che ci siamo incontrati lei non ha aperto bocca, ma, in qualche modo la sua era una presenza affascinante che attirava. Poi, con il passare degli anni, il rapporto è diventato più regolare e siamo diventati quasi di famiglia, l’uno per gli altri. Mi sono lentamente reso conto del perché molti degli allievi del professore chiamassero Koikyla ‘mata-ji’: in qualche modo avvertivano un senso di figliolanza nei suoi confronti. Niente di fisico, ovviamente, ma di morale e spirituale. Mentre il ‘guru’ illumina la via, la moglie assicura una presenza delicata, materna, ma forte, allo stesso tempo, che dona sicurezza e senso di essere capiti ed accompagnati. Ogni volta che visitavo il professore, lei preparava il tipico tè gujarati, la regione da cui entrambi provengono, con qualche dolce o snack salato di quelle parti. Il tutto quasi senza che ce ne accorgessimo, ma senza mai perdere una parola di quello che si diceva, e nemmeno, uno sguardo o, anche, un bisogno dell’ospite che sapeva prevenire con arguzia e tatto. Koikyla ha sempre dato un grande senso di sicurezza al marito, certo, ma anche a coloro che lo incontravano. Negli ultimi anni, non era possibile pensare a uno senza l’altro.
Una delle ultime volte che li ho incontrati insieme nella loro casa nella zona centrale di Mumbai ci hanno raccontato la loro storia. Qualcosa che in India raramente si svela. Lo si fa solo ai membri della propria famiglia o ad amici veramente particolari. Koikyla era stata promessa a Sureshchandra quando lui aveva tre anni e lei era ancora nel seno materno. Il padre della bambina che stava per nascere aveva scritto al padre del ragazzino chiedendo se i due si potevano sposare quando avrebbero raggiunto la giusta età.
Quando il momento arrivò, si videro per la prima volta, dopo tre giorni di festa dei membri della famiglia nel villaggio di origine. Alla fine si sposarono e sono rimasti insieme quasi 70 anni. Fedeltà assoluta, armonia incredibile che caratterizza anche il rapporto con la moglie del figlio – le due coppie vivono insieme in due camere e cucina. Il segreto? «Non conoscendosi, non sapendo nulla l’uno dell’altro non avevamo nessuna aspettativa e quindi abbiamo dovuto cominciare tutto fra noi, proprio tutto». Questa la spiegazione di Sureshchandra mentre Koikyla ascoltava ed annuiva servendo tè indiano con ginger e menta con pakora fritte.
Ricordo che quella sera prese anche le Upanishad, uno dei libri sacri dell’induismo, e cominciò a cantarne dei versi. Non mi era mai capitato di vedere una scena simile. Lei sempre così silenziosa. Ho capito che per amore e per rispetto alla vocazione del marito aveva imparato a fare anche questo, ma lo faceva con una grande naturalezza: era la sua vita. Era, come dicevo, parte dell’essere ‘guru’ del marito, senza di fatto fare confusione. Spesso negli ultimi anni, quando ci siamo incontrati, mi ha abbracciato forte. Un atto semplicemente impensabile per una donna del Gujarat, moglie di un ‘guru’ con un uomo straniero. Al primo imbarazzo che avevo avvertito la prima volta si è poi sostituita una naturalezza: era mataji. Poteva farlo. Il nostro rapporto era ormai, e ancora più oggi, su un piano completamente diverso. Forse ancora più difficile da spiegare di quello con il marito, ‘guru’. Negli scambi semplici di questi giorni in cui ho seguito i riti funebri del marito ho colto quanto sia stato e sia ancora bello e profondo questo nostro rapporto. Uno di quegli aspetti che la vita ti riserva che non si riesce ad esprimere: troppo diverso dalle categorie dell’occidente e troppo delicato per essere colto nella sua dimensione più vera.