Kirghizistan tra democrazia e caos

Dopo il voto del 10 ottobre, cinque partiti si divideranno i seggi parlamentari. In una grande incertezza.
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Una grande frammentazione dell’elettorato s’è manifestata nelle elezioni dello scorso 10 ottobre in Kirghizistan, nel cuore dell’Asia centrale, teatro alcuni mesi fa di violenti scontri interetnici nel sud del Paese, dopo la cacciata dal potere del presidente Bakiyev e la salita al potere di un quadrunvirato guidato da Roza Otunbaeva. Così cinque delle 29 formazioni in lizza hanno superato la soglia di sbarramento del 5 per cento e si divideranno i 120 seggi del Parlamento unicamerale chirghiso: hanno raggiunto percentuali di voto tra l’8,8 e il 5,9 per cento.

 

Il partito più votato (Ata-Jurt) è quello nazionalista vicino all’ex presidente Kurmanbek Bakiyev, che otterrà 29 seggi. 26 andranno alla formazione socialdemocratica sostenuta dal governo attuale, mentre la formazione vicina ai russi (Ar-Namys) ha 23 seggi, così come gli indipendenti esponenti del partito Republika (che tuttavia paiono più vicini all’attuale opposizione). Il partito più vicino alla presidente Outumbaeva (Ata-Meken guidato da Omurbek Tekebayev) ha ottenuto 19 seggi. In questo contesto di difficile soluzione per la formazione d’un nuovo governo, si inserisce una seconda polemica, legata al referendum che ha istituito la repubblica parlamentare al posto di quella presidenziale, che taluni vorrebbero annullare.

 

Si apre ora una sfida importante per il Paese: riuscire a formare un governo che sia al servizio del Paese e non succube dei diversi clan che nei fatti governano gran parte del Paese, restando indipendente dai vicini russi o dei lontani Stati Uniti. Le formazioni che sembrano orientate a formare la nuova coalizione raggruppano l’attuale opposizione: sostenitori dei due precedenti regimi (Akayev e Bakiyev) sono presenti in tutte e tre le formazioni (Ata-Jurt, Ar-Namys e Republika). Conoscendo anche l’intreccio con le questioni etniche che travagliano il Paese (Akayev era del Nord, Bakiyev del Sud), la soluzione del rebus governativo non appare semplice.

 

Il prossimo governo dovrà quindi affrontare tre ordini di problemi: assicurare la coesione sociale ed etnica del Paese; rilanciare un’economia martoriata dalla crisi e dalle diatribe politiche, avviando nel contempo una seria politica fiscale; ritrovare un equilibrio nel panorama internazionale centroasiatico.

Commenta Giorgio Fiacconi, console onorario d’Italia a Bishkek: «Per fare del Kirghizistan una nazione moderna, i leader devono smetterla di combattere la battaglia sbagliata, quella tra di loro, e trasformare invece il Paese da una nazione di gente che protesta in un luogo stabile dove l’onesto lavoro sia correttamente remunerato, le tasse siano fatte pagare e il crimine esca dall’arena politica».

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