King of Convenience, la forza dei nervi distesi
Esistono vari modi per lasciare il segno in un mondo effimero e volatile come quello delle canzoni. Si può giocar tutto sulla forza della melodia, come fecero i Beatles, o pestar duro sul pedale dell’energia come gli Stones e i loro variegati fratelli di stile; oppure far propria la lezione di Springsteen e degli U2 e puntar tutto sulla passione; o ancora, come Dylan e le centurie di cantautori, affidarsi alla forza delle parole. Eirik Bøe e Erlend Øye fanno base in quel di Bergen, una deliziosa cittadina adagiata tra i fiordi della Norvegia. E nella loro formula espressiva c’è un po’ di tutto questo, miscelato con una grazia, una purezza e un’essenzialità davvero rare.
I Re della convenienza hanno appena pubblicato il loro terzo album, Declaration of Dependence (Virgin), un disco meraviglioso nella sua semplicità. «Vogliamo dare all’idea di dipendenza un’accezione positiva –spiegano –. Per secoli l’indipendenza è stata la cosa da inseguire a tutti i costi, ma ci sono occasioni in cui essere dipendenti da qualcuno è una bella cosa». La dipendenza di cui parlano è ovviamente quella che regola il loro rapporto umano ad artistico, quella di una coppia così complementare da portare subito alla mente quella celeberrima di Simon & Garfunkel, certamente il loro principale modello di riferimento stilistico. «Siamo l’opposto per molti versi – dice Eirik –. Fra noi ci sono stati conflitti, abbiamo caratteri ed interessi diversi, ma abbiamo discusso così tanto negli ultimi anni che finalmente sappiamo come trattarci». E il risultato sembrerebbe confermare in pieno l’antico teorema beatlesiano, laddove l’addizione dei singoli talenti risulta alla fine ben superiore alla somma algebrica delle rispettive individualità.
Da qui anche il titolo di questo album, costato due anni e mezzo di lavoro, dove l’amicizia fra i due s’incarna e risplende in una dozzina di brani di straordinaria intimità, ma anche dotati di grande forza comunicativa. Le spezie e gli impasti vocali folk-rock dei Sessanta incrociano delizie bossanova, ballate limpide come i cieli della loro terra e chete proprio come l’acqua dei loro fiordi: ibridi sospesi tra la mitezza dei laghi di montagna e l’immensità del mare. Eppure – qui sta una delle peculiarità più originali dell’album – queste sono tutt’altro che canzoni “mosce”; anzi, per usare le loro stesse parole questo è «il disco pop più ritmico che sia mai stato fatto senza usare né percussioni né batteria».
L’accoppiata norvegese dunque si conferma come una delle realtà più particolari, moderne, e preziose del folk-pop europeo, anche perché le loro canzoni sottintendono un’ecologia della musica di cui c’è davvero un gran bisogno in questi tempi di plastiche pop tanto omogeneizzate quanto banali. Insomma, un album da includere assolutamente tra i dischi più belli dell’anno.
CD NOVITA’
Wilco
Wilco (the album) (Nonesuch)
Jeff Tweedy e soci hanno sulla groppa quindici anni di carriera poco rumorosa, ma in costante ascesa. Questa loro ottava avventura in sala d’incisione è un disco coi fiocchi, quasi un Bignami del rock a stelle e strisce di questi ultimi trent’anni. Gli undici brani irradiano l’aura di una “classicità” rockettara le cui radici affondano nelle lezioni dylaniane e di Neil Young, ma anche una personalità e un carisma da risultare a loro volta un marchio di fabbrica e un modello di riferimento. Il sestetto di Chicago sa coniugare l’energia tipica di certo rock americano (i Rem, tanto per citare i colleghi più illustri) a un gusto per la melodia che ha invece tutta l’immediatezza e l’eleganza vocale del miglior pop.
Kantango
Ida Y Vuelta
(Microcosmo)
Un disco cosmopolita che mette insieme gli aromi sempreverdi del tango argentino e la canzone napoletana, Africa e Brasile, e ancora jazz, folk multietnico, modernismi elettronici. Ospiti illustri come Lura e Richard Galliano impreziosiscono uno dei migliori album di world-music di questi ultimi mesi.