Kiev, Sarajevo, Caracas

Tre piazze tra le tante che sono infiammate dalle proteste e bagnate dal sangue dei manifestanti. La crisi ucraina esplode violentemente
Ancora scontri a Kiev

Kiev, più di venti morti
Dopo qualche giorno di dialogo tra il governo di Janukovich e i manifestanti, che erano giunti ad un accordo per il rilascio dei rivoltosi arrestati nelle scorse settimane (vedi l'articolo "Kiev senza pace"), la folla ha ripreso possesso di Piazza Maidan e di altri luoghi strategici della capitale. La polizia antisommossa e le altre forze dell’ordine hanno iniziato una violenta repressione della manifestazione, provocando un vero e proprio bagno di sangue: i morti si contano tra la ventina e la trentina, tutti manifestanti tranne un poliziotto, a testimonianza della escalation violenta della protesta. Il presidente, forte dell’appoggio incondizionato di Mosca, non ha voluto finora recedere dalla decisione di riappropriarsi dei luoghi-simbolo della capitale Kiev, lasciando cadere i reiterati inviti di Unione europea, Onu e Nato ad evitare un bagno di sangue. Ormai, come ci dicono i nostri osservatori locali, la questione dei legami che il Paese intende privilegiare – Unione europea, come chiedono i manifestanti, o Russia, come sta facendo il governo –, appare quasi secondaria. In ballo «è il tipo di potere in atto in Ucraina, molto poco democratico, corrotto e asservito ai potentati filo-russi», come sostiene un docente di economia all’Università di Kiev. Anche qui, non c’è solo una questione di diplomazia, ma di giustizia, libertà e pane. Qualcuno comincia a temere l’avvio di una guerra civile.

Sarajevo, la piazza che non ti aspetti
La natura della protesta che da qualche settimana sta riscaldando le vie e le piazze di Sarajevo, capitale bosniaca, non è poi così differente. Si combatte la corruzione del regime, si chiedono misure contro la povertà che attanaglia centinaia di migliaia di famiglie, si chiede una maggiore giustizia sociale e una più chiara libertà di movimento. Non si tratta di una competizione politica tra gruppi etnici o religiosi: nella folla dei protestatari ci sono in effetti musulmani, cristiani ortodossi e cattolici, e una buona fetta di rivoluzionari atei. La questione del potere – la Bosnia Erzegovina, lo sappiamo, è in fondo divisa in due entità: la Federazione croato-musulmana (51 per cento del territorio) e la Repubblica serba (il restante 49 per cento) – è un nodo irrisolto, che lascia spazio allo spadroneggiare di bande di affaristi e corruttori. Ciascuna delle due zone ha un proprio ordinamento: nella prima s’è creata una complessa girandola di ruoli e responsabilità volta a garantire il mantenimento di buoni rapporti di convivenza tra le etnie musulmana e croata, nella seconda le cose sono più semplici, ma non per questo la gestione dello Stato funziona correttamente. I 4800 dollari pro capite di reddito, uno dei più bassi d’Europa, non fa nascere una vera e propria classe media. Una protesta, insomma, che somma una serie di malcontenti di origini assai diverse, ma comunque essenzialmente economici.

Caracas, Maduro in difficoltà
Tutti sapevano che la morte di Hugo Chavez avrebbe creato non pochi problemi alla gestione del regime in vigore in Venezuela sin dal 1999 quando salì al potere il presidente bolivariano. L’opposizione, che alle recenti elezioni presidenziali aveva sfiorato la vittoria, candidando un ex camionista contro Nicolas Maduro, il successore designato di Chavez (49 per cento a 51 per cento), dal 12 febbraio ha iniziato una serie di manifestazioni chiedendo le dimissioni del presidente, considerato incapace economicamente, oltre che discriminatorio sul piano politico e religioso. L’85 per cento delle merci necessarie alla vita del Paese vengono in effetti importate e il sistema statale crea continue ristrettezze che colpiscono diversi settori: così la benzina scarseggia (incredibile, in un Paese petrolifero!), ma anche la carta igienica e, ultimamente, la carta. Ieri il leader dell’opposizione più dura, quella di Volontà popolare, Leopoldo Lopez, si è consegnato alla polizia, perché ricercato da tempo. Con una croce al collo, da tempo sta stigmatizzando il potere di Maduro per la sua incapacità e la sua ingiustizia distributiva. Anche nel Paese sudamericano si parla di rischio elevato di guerra civile.

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