Kiev, la lotta continua
Olga è un ingegnere ucraino. Esile, con i capelli bianchi, onesta, molto religiosa, ogni venerdì osserva un digiuno completo nonostante debba faticosamente lavorare come collaboratrice domestica. Come lei sono molti gli ucraini, laureati e professionisti in patria, che in Italia lavorano come badanti, colf e tutti quei servizi alla persona che gli italiani hanno ripreso a fare solo in tempo di crisi. Vivono con angoscia, insonni, passando tutta la notte su Internet per controllare le ultime notizie che arrivano dal loro Paese. Un giovane studente di 22 anni che viveva nello stesso condominio di Olga a Kiev è stato ucciso dalla polizia durante gli scontri in piazza Maidan. Ora hanno la certezza di aver vinto, che il primo ministro Janukovich ha ceduto alle proteste di piazza cominciate a novembre dopo che il governo non aveva posto la firma per entrare nell’Unione europea.
Vista da loro è una mera questione di soldi. Janukovich aveva battuto cassa in Europa, ma non avendo ottenuto quello che voleva si è rivolto alla Russia che insegue ancora il sogno della grande Russia profumata di rubli. Il gas, infatti, che viene venduto a caro prezzo all’Ucraina non arriva neanche dalla Siberia, dal territorio russo, ma dai Paesi satelliti, soprattutto dal Turkmenistan, dal Tagikistan e dall’Azerbaigian. La Gazprom russa ha concluso, infatti, un accordo con il Turkmenistan per l’acquisto in esclusiva del loro gas perché non sono in grado di trasportarlo e distribuirlo. Lo acquistano a prezzi molto bassi, attorno ai 230 dollari per mille metri cubi e lo hanno rivenduto, mischiato con altri gas proveniente da altri fonti, fino a 500 dollari circa all’Ucraina. Tra i prezzi più alti in assoluto. Dopo il negoziato con la Russia il prezzo è sceso sotto i 300 dollari. Con tali guadagni molta oligarchia russa si riempie le tasche, almeno questo è il sospetto di molti ucraini. E non comprendono come lo stesso gas venduto a diversi Paesi europei costi meno del prezzo praticato all’Ucraina.
Europa e Russia si scambiano pesanti accuse di ingerenza reciproca, ma il vero aiuto dall’estero arriva solo dagli 8 milioni di ucraini emigrati per lo più in Europa, Usa e Australia. In Italia molti uomini e donne, collaboratori domestici e badanti, hanno deciso di aiutare il popolo di piazza Maidan inviando ogni settimana il corrispettivo del guadagno di una giornata di lavoro. È il loro contributo alla protesta e oltre ai soldi inviano cibo e vestiario con una generosità senza limiti. I loro cellulari sono controllati. Per scoprirlo è molto semplice. Prima di ogni conversazione digitano *33* e poi compongono il numero. Se invece dei numeri composti appaiono delle lineette, tipo ‒, vuol dire che la telefonata è registrata dalla polizia. Accade con i numeri che si chiamano di frequente in Ucraina. Se sono numeri chiamati raramente o da una nuova scheda telefonica non scatta il controllo. Anche le conversazioni via Skype sono oscurate con continui virus e le mail sono facilmente controllabili.
Intanto monta la rabbia e cresce il numero dei morti che arriva a 80 secondo le statistiche ufficiali fornite dal ministro dell’Interno ad interim ucraino, Vitali Zakharcenko, citato dall’agenzia Itar-Tass. Alle 12 di oggi, alle 13 ora locale di Kiev, riprendono i negoziati tra i ministri dell’Unione europea e il governo ucraino, interrotti questa mattina alle 7 e 20. La presidenza ucraina ha annunciato che è stato raggiunto un accordo tra il governo ucraino, l’opposizione, la Russia e i rappresentanti dell’Unione europea che sarà firmato oggi. Per i negoziatori europei, invece, la situazione resta aperta e molto difficile.
Per diversi ucraini residenti in Italia, il premier Janukovich non è credibile perché ha fatto e disfatto accordi già decisi in passato e continua a comandare tutte le forze dell’ordine. L’unica via d’uscita è tornare alla Costituzione del 2004 con una riforma che riduca i poteri del presidente e una chiara divisione dei poteri tra governo e Parlamento. E proprio oggi la Rada suprema, il Parlamento, voterà il ripristino della Costituzione del 2004 che limita i poteri presidenziali. Mentre gli scontri di piazza continuano.