Kevin Keegan, 70 anni di un simbolo del calcio
Sono 70 le candeline per uno dei principali miti della Liverpool del calcio: Kevin Keegan le ha soffiate nel giorno di San Valentino, mentre la città inizia a vivere la proverbiale fibrillazione del suo leggendario “tempio calcistico”, l’Anfield Road, in vista degli imminenti ottavi di finale di Champions League che vedranno impegnati i “Reds” alla conquista di un altro grande sogno centrato nel 2019. Nella spasmodica attesa, la storia di Keegan non fa che spiegare la carica di storia sportiva di un contesto che, un’icona dopo l’altra, ha assunto caratteri quasi epici per la città e lo sport britannico in generale.
Certo, erano tempi ben diversi, esattamente 50 anni fa, quelli in cui il ventenne Kevin arrivò al Liverpool dallo Scunthorpe United. Ad attenderlo, trovò lo storico manager dei Reds, Bill Shankly,
che gli sottopose un contratto con la stessa identica cifra che Keegan percepiva allo Scunthorpe.
“Pensavo di guadagnare di più al Liverpool. Mio padre dice che bisogna sempre migliorare” disse il ragazzo. Dopo qualche secondo di silenzio, Shankly replicò: “Fai bene a dar retta a tuo padre. Che lavoro fa?” “Il minatore, signore. Ma non lavora più, ha la polvere nei polmoni” rispose il ragazzo.
Il buon vecchio Shankly in miniera c’era stato: sapeva che la polvere nei polmoni è pressoché una sentenza di condanna a morte. Così prese il contratto e cambiò la cifra, mettendo 5 sterline in più a settimana. “Ma ricorda ragazzo – lo avvertì severo, – è la prima e ultima volta che mi chiedi un aumento”.
Iniziò così, come approfondito dal libro “Premier League” di Nicola Roggero, l’esperienza di Kevin Keegan al Liverpool, la storia di un grande amore, che non potevamo perciò non raccontare facendo riferimento al giorno più coerente del calendario. Un amore vero, per un attaccante eccezionale che giocò spesso con le lacrime agli occhi mentre ascoltava le intense note di “You’ll never walk alone”, epico inno dei Reds. Lo fece vincendo con il Liverpool ben tre volte la Premier League, una FA Cup, due Charity Shield, una Coppa dei Campioni e due coppe UEFA. Era il tempo in cui, a livello di club, le squadre inglesi dominavano l’Europa: Keegan divenne il simbolo degli “inventori del calcio”, scrivendo la storia e aggiudicandosi due Palloni d’Oro, ossia il titolo di miglior giocatore del Vecchio continente, nel 1978 e nel 1979.
Ala destra per un metro e settanta di fantasia e funambolismo, dalle straordinarie doti tecniche, era stato scoperto da una suora. Nato ad Armthorpe, nello Yorkshire, impazziva per le imprese del Wolverhampton e Billy Wright, capitano della squadra e della nazionale inglese. Il padre riuscì a forza di sacrifici infernali comunque a mandarlo in collegio: il ragazzo giocava bene anche a cricket, da capitano della squadra, ed eccelleva nell’atletica. Così, la direttrice della scuola saveriana di Bally Bridge, a Doncaster, suor Mary Oliver, scrissè sul suo diario che riteneva come la sua voglia di giocare a calcio andasse incoraggiata. Aveva ragione eccome, suor Mary: mai talent scout fu più illuminato.
Divenuto una leggenda britannica e portata Liverpool sul tetto d’Europa, nel 1978 Keegan accetta di lasciare la zona di comfort per cogliere una nuova grande sfida: approda all’Amburgo, con il quale firma invece uno dei contratti sportivi maggiori dell’Europa del tempo. Con la squadra tedesca vince una Bundesliga e raggiunge una finale di Coppa dei Campioni, poi persa di misura con il Nottingham Forest. Rientrato in Inghilterra al Southampton, riesce a vincere la classifica cannonieri nel 1981/82, con 26 gol. Colleziona in tutto 63 presenze e 21 gol con la nazionale inglese, con la quale è stato per 31 volte capitano. Termina la carriera da calciatore nell’84, ottenendo poi nel ’91 il patentino di allenatore e nel 2000, pur senza ottenere risultati, arriva a guidare la gloriosa nazionale del suo paese. Al di là degli auguri, non resta davvero che ringraziare ancora lassù suor Mary, per avere scoperto una tra le più belle leggende del calcio. Anche se, come ormai abbiamo imparato a non stupirci, certe cose succedono solo ad Anfield…