Kerala, i monsoni provocano centinaia di morti
Domenica, durante l’Angelus in Piazza san Pietro, papa Francesco ha pregato per le vittime delle piogge monsoniche nello stato del Kerala, nel Sud Ovest dell’India. Bergoglio ha chiesto preghiere, ma anche invitato a mostrare “la nostra solidarietà e il concreto sostegno della Comunità internazionale”. Ha, poi, assicurato la sua vicinanza alla “Chiesa in Kerala, che è in prima linea per portare soccorso alla popolazione”.
Ma cosa è successo in questo angolo dell’India? Le immagini sono apparse anche in alcuni dei nostri notiziari, ma cerchiamo di approfondire la situazione attuale. È difficile spiegare a chi non li ha mai sperimentati che cosa siano i ‘monsoni’. È un termine che evoca sentimenti, spesso, opposti nelle popolazioni che vivono nel sub-continente indiano dove la sopravvivenza dipende proprio dalla stagione monsonica.
I venti che producono le piogge torrenziali che da maggio a fine settembre coprono la parte occidentale dell’India ed il Pakistan, per poi ridiscendere nei due mesi successivi sulla costa orientale sono, infatti, la condizione per assicurare i raccolti e anche, in molte occasioni, l’acqua potabile. Ricordo che, anni fa, la metropoli di Mumbai, non avendo ricevuto un monsone sufficientemente ricco di acqua per riempire i cinque bacini idrici naturali che ne assicurano l’acqua potabile, aveva cominciato a considerare la possibilità di evacuare fette di popolazione in altre zone dello stato. Fortunatamente cominciò a piovere e in maniera più che sufficiente per garantire un anno di approvvigionamento idrico alla metropoli.
Allo stesso tempo, le popolazioni del sub-continente sanno che il ‘monsone’ può essere crudele e riservare distruzione e morte. In effetti, ogni anno in qualche angolo di questa immensa area geografica si verificano allagamenti con morti e danni ingenti, soprattutto ai campi e alle abitazioni. Ad essere più colpite sono spesso le zone attorno ai grandi corsi d’acqua perché in India, il fiume, oltre ad avere un valore sacro, è anche fonte di vita e, molto spesso, città, villaggi e vita sociale sorgono e si sviluppano lungo i corsi d’acqua.
In tal caso, la zona più facilmente colpita è la grande pianura dell’Assam con il lento scorrere del Brahmaputra, che quasi ogni anno esonda e procura danni difficili da descrive. Tutto questo, sorprendentemente, è successo nei giorni scorsi in Kerala, lo stato da dove cominciano ogni anno le piogge monsoniche verso la fine di maggio. Non è raro che anche in questa parte dell’India stato si verifichino dei disastri naturali dovuti a piogge torrenziali che durano vari giorni, ma si tratta di problemi normalmente circoscritti ad una zona o ad uno o due distretti.
Quanto accaduto in questi giorni non era più successo dagli anni Venti del secolo scorso. L’ultima grande alluvione di queste dimensioni, infatti, si era verificata nel 1924. Questa volta, invece, tutti i 14 distretti dello Stato, sia pure in modo e in grado diversi, sono stati investiti da questa fase eccezionale delle piogge monsoniche – l’intensità delle piogge è stata superiore al normale del 250 per cento -, provocando una vera catastrofe. Lo scenario generale è pressoché apocalittico: strade allagate, simili a corsi d’acqua, persone che tentano di ripararsi sui tetti, squadre di tutte le forze armate impegnate nelle operazioni di soccorso, l’aeroporto internazionale di Kochi chiuso per vari giorni, possibile collasso delle dighe, dove il livello dell’acqua è arrivato a livelli critici, costringendo l’amministrazione ad aprire 34 riserve per alleggerire la pressione.
In questi ultimi giorni, l’intensità delle piogge ha cominciato a diminuire e si è attivata la macchina per le difficili operazioni di salvataggio, con i soccorritori impegnati nel tentativo di raggiungere coloro che sono rimasti bloccati nei villaggi più remoti. Da quando la stagione delle piogge è iniziata, lo scorso maggio, i morti sono stati almeno 370: di questi oltre 200 uccisi dalla violenza scatenata dai nubifragi degli ultimi dieci giorni.
È impossibile, per ora, valutare l’esatta entità dei danni, ma secondo il premier locale Pinarayi Vijayan – che ha cancellato il matrimonio della figlia previsto per questi giorni e donato una somma per coloro che sono stati colpiti dalla tragedia – almeno 83 mila chilometri di strade sono stati devastati, mentre sarebbero andate distrutte circa 20 mila case e qualcosa come 40 mila ettari di campi coltivati. Inoltre, per accogliere gli oltre 600 mila sfollati sono già stati istituiti almeno 4 mila campi dove, però, scarseggia tutto e si teme che possano diffondersi epidemie. Un campo ad Aluva è stato già trasformato in lazzaretto per malati di varicella. Anche le compagnie telefoniche locali sono impegnate nello sforzo di salvare quante più persone possibili: offrendo internet e rete telefonica gratuita nelle aree colpite in modo che si possa segnalare la propria posizione attraverso sms o messaggi Facebook. Ora si cerca di monitorare la situazione per evitare che scoppino epidemie.
Negli ultimissimi giorni sono cominciati ad arrivare aiuti e soccorsi da parte del Governo centrale, dopo che il primo ministro Narendra Modi ha visitato lo Stato sorvolando le zone più colpite. Gli aiuti per ora sono, comunque, inadeguati. Ovviamente c’è disperazione e anche rabbia nella gente, ma non ci si può nascondere che lo spirito di collaborazione e la forza d’animo degli abitanti del Kerala sono venuti in evidenza in questi giorni. Molti college sono diventati luogo di aiuto e di accoglienza con studenti che hanno lavorato ininterrottamente come volontari. Toccante anche il contributo dei pescatori di Kollam, che si sono offerti spontaneamente per salvare la gente che rischiava di essere travolta dalle acque che crescevano a vista d’occhio nel giro di pochi minuti. Traendo esempio da questa iniziativa anche i pescatori di altri distretti (la capitale dello stato Thiruvanathapuram, Ernakulam e Alapuzha) si sono attivati mettendo a disposizione le loro barche e volontari per salvare molte vite.