Kerala modello di gestione della pandemia

Caso virtuoso, quello dello Stato del sud del subcontinente. Partito in anticipo sul resto del Paese, il governo locale ha saputo offrire servizi adeguati ai malati, isolando nel contempo ogni caso di positività al Covid-19
Gestione pandemia in Kerala (AP Photo)

Fra i casi di governi che sono fino ad ora riusciti a fronteggiare il Covid-19 con successo deve essere annoverato anche quello del Kerala, lo Stato all’estremo sud-ovest dell’India. Il Kerala da circa due decenni può vantare il 100% di scolarità ed ha, senza dubbio, un livello di vita superiore a quello del resto dell’India, pur essendo privo di grosse industrie e vivendo sostanzialmente di turismo e di pesca, oltre che di coltivazione del riso. È uno Stato che mantiene una solidità politico-amministrativa invidiabile nel panorama sempre complesso e carico di colpi di scena come quello indiano. Da decenni si alternano al governo il partito comunista e quello del Congresso, che di fatto garantiscono una costante sana opposizione, ma anche esperienza di governo stabile.

L’emergenza Covid-19 è partita in anticipo rispetto a quella lanciata dal governo Modi su scala nazionale. Oggi in Kerala i casi non superano i 500 e le morti sono tre. Qualcuno nell’opinione pubblica locale osa paragonare l’efficienza nell’affrontare la pandemia a quella di Taiwan o della Germania. Paragoni a parte, il caso merita attenzione.

Il chief minister, Pinaravi Vijayan, un politico consumato, è fiero nell’annunciare che il tasso di mortalità del suo Stato è fermo allo 0,58%, mentre quello nazionale indiano ha quasi raggiunto il 6%. L’attuale capo del governo locale dello Stato del sud India è considerato dai suo concittadini una specie di eroe. Da un lato, nelle elezioni dello scorso anno il suo partito è riuscito a fare muro ed impedire l’entrata del Bjp di Modi nell’arena politica keralese. Dall’altra, ha ora anticipato tutti ed agito in modo efficace per impedire, almeno fino ad oggi, che il virus compisse una strage. In effetti, quasi per ironia della sorte, i primi tre casi di coronavirus in India sono stati individuati in questo Stato. Si trattava di tre studenti ritornati proprio da Wuhan.

Tuttavia, da quel momento lo Stato si è messo in allerta. Il flusso dei pazienti si è accresciuto a metà febbraio, con una famiglia indiana che ritornava dall’Italia. Da allora, sono stati i keralesi di ritorno dal Golfo o dall’Europa ad essere i principali vettori di questa malattia. I controlli in aeroporto sono cominciati vari giorni prima che in altre parti dell’India. Non si deve dimenticare che lo Stato ha un altissimo numero di persone che lavorano all’estero, soprattutto nel Golfo Persico.

Un aspetto importante nella gestione del virus è stata anche la decisa apertura mediatica e di coscientizzazione della popolazione. Ogni giorno Pinaravi appare alla televisione locale per una conferenza stampa che tende ad essere sempre trasparente ed offrire un quadro realista della situazione. La gente è, dunque, sensibilizzata ed avverte il governo, ed il chief minister in prima persona, come protagonista affidabile coinvolto nella battaglia che tutti i cittadini sono chiamati a sostenere. Inoltre, sebbene il carattere dei malayalam (il termine che esprime sia la lingua che gli abitanti di questa parte d’India) sia vivace e combattivo, questa fase dell’emergenza ha visto le autorità amministrative muoversi in piena sintonia con l’autorità di Thiruvananthapuram (la capitale del Kerala). Le autorità dei vari distretti, villaggi e panchayat (gruppi di villaggi), a qualunque schieramento politico appartengano, si sono mossi in sintonia con il governo.

Un’altra iniziativa interessante e coraggiosa è quella presa a favore dei lavoratori del nord India che si trovavano in Kerala al momento in cui si è imposto il lockdown. Mentre nel resto del Paese milioni di lavoratori sono rimasti alla mercé di se stessi, questo Stato ha cercato di garantire loro il necessario. Sebbene alcuni abbiano protestato per poter partire al fine di ritornare nel loro Paese d’origine, è stato loro assicurato che fino a quando verranno ripristinati i treni, continueranno a stare nelle città del Kerala, sostenuti dal governo nel cibo e in altro di cui hanno bisogno per sopravvivere.

Non bisogna dimenticare, poi, che Kerala, in passato, era già stato epicentro di epidemie, come quella del virus Nipah. Per questo, non appena il virus viene identificato in una persona, subito si agisce in modo sistematico. Si comincia tracciando il percorso dei pazienti in modo molto dettagliato. Si registra ogni punto dove il paziente ha viaggiato e si indentificano tutte le persone da lui incontrate anche in modo casuale. L’identificazione avviene con l’aiuto di consiglieri del governo locale, operatori sanitari, polizia.

La cosiddetta “privacy” viene messa da parte in funzione della salute sociale. Questo processo di identificazione, isolamento, ricovero in ospedale è ormai svolto attraverso una app sullo smartphone. Tale app connette tutti coloro che sono coinvolti nella lotta al coronavirus, dal dottore all’autista dell’ambulanza. Così il dottore può sapere in tempo reale dove ci sono ventilatori liberi per la terapia intensiva; l’autista viene a sapere subito il posto più vicino dove ci sono letti liberi.

Altro problema da affrontare era quello dell’emergenza negli ospedali.

Non potendo ricorrere alla costruzioni di ospedali in tempi brevi, al fine di combattere la potenziale carenza di letti in ospedale, il governo ha subito deciso di convertire vagoni di treni non utilizzati in sale di isolamento. Inoltre si è pronti a requisire gli ostelli universitari se fosse necessario per una crescita incontrollata del virus. Insomma in un Paese a rischio di strage se il virus non venisse controllato, il Kerala rappresenta fino ad oggi una success story per come l’emergenza pandemia è stata affrontata sia a livello amministrativo che sanitario. Un esempio per l’intero gigante asiatico e non solo.

 

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