Usa, Kamala Harris e le sue origini indiane
Kamala Harris è la nuova vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Gli Usa hanno scelto Joe Biden come nuovo presidente e il suo braccio destro, 56 anni, è la prima donna a ricoprire il ruolo di vicepresidente. Ma scopriamo qualcosa di più su di lei, con questo articolo scritto quando Kamala Harris era stata scelta da Biden per essere al suo fianco.
Kamala Harris è diventata uno dei volti più popolari dei media e una presenza costante sui social a livello mondiale. La sua presenza è stata costante anche nei vari notiziari durante i quali, accanto agli sviluppi della pandemia, a far notizia è stata proprio questa donna di colore, che Joe Biden, incoronato ufficialmente come candidato democratico alla Casa Bianca, ha scelto come vice-presidente nella corsa alle elezioni del prossimo novembre. La Harris sta facendo notizia ben più del candidato presidente e la scelta potrebbe essere discriminante nel successo o nella sconfitta dei democratici di fronte a Trump.
Ormai si sa molto di lei e da ora in poi la sua vita verrà scandagliata nelle pieghe più profonde. Un aspetto che deve essere considerato sta nel fatto che la Harris non è semplicemente una afro-americana. È, infatti, indo-afro-americana e, se si vuole allargare l’orizzonte, non si può ignorare che provenga, almeno per via materna, dal continente asiatico. È, dunque, una donna che, al di là delle capacità personali che l’hanno portata al ruolo di Attorney General della California e a quello di unica donna di colore a sedere attualmente nel Senato – e la seconda ad esservi stata eletta – porta con sé un background socio-culturale molto più ricco di quanto si pensi. E la sua discendenza indiana non è elemento da sottovalutare sia per il presente che per il futuro.
In una recente intervista, Kamala Harris ha raccontato a lungo dei legami con la famiglia della madre Shyamala Gopalan. Maya, sua sorella, non ha nascosto che per rendersi veramente conto di chi sia la nuova potenziale vice-presidente è necessario conoscere quella coraggiosa ragazza tamil che, nel 1958 non ancora ventenne, lasciò la città di Madras ora rinominata Chennai. In quei tempi, era tutt’altro che semplice per una ragazza di casta, appartenente alla società medio-borghese del Tamil Nadu, lasciare il Paese asiatico per vivere o studiare in Nord America. In molte famiglie del sud India erano ancora forti vari tabù nel vedere partire giovani – soprattutto ragazze – verso l’occidente. Ed era ancora più complesso atterrare negli Usa per studiare, come avrebbe fatto la giovanissima Shyamala, a Berkeley presso l’Università della California.
La candidata indiana si specializzò nella ricerca sul cancro al seno e sposò un giamaicano Donald Harris, arrivato a Berkeley per studiare economia. Era un periodo complesso quello degli anni Sessanta. In America si marciava e dimostrava per i diritti civili e, qualche anno più tardi, sarebbero cominciate anche le dimostrazioni contro la guerra in Vietnam, mentre in India, soprattutto nel tradizionale stato del Tamil Nadu, le coetanee di Shyamala si sposavano secondo la tradizione indù e osservando strettamente la pratica dei matrimoni combinati dalle famiglie. Non erano rari i casi in cui indiani che avevano intrapreso studi e carriera negli Usa mettendo su famiglia con una persona di un’altra cultura e religione non erano più accettati dalla famiglia di provenienza. La cosa doveva essere ancora più problematica per Shyamala che aveva anche divorziato dal marito quando Kamala aveva sette anni. Fortunatamente, la famiglia Gopalan era abbastanza aperta e la giovane ricercatrice tamil negli Usa riuscì a mantenere i suoi rapporti con le radici culturali e familiari.
Kamala Harris afferma oggi di avere bei ricordi delle visite che ogni due anni faceva ai nonni nella casa di Besant Nagar. Fra i momenti più importanti rammenta le lunghe passeggiate mattutine sulla sabbia del litorale con il nonno, P.V. Gopalan, e, spesso, anche con i suoi amici e colleghi di lavoro. P.V. Gopalan era un pensionato dei quadri amministrativi della burocrazia statale e la bambina ascoltava discorsi sulla vita politica di una giovane democrazia, quella indiana che era già la più grande del mondo, ma con non pochi problemi legati a corruzione e inesperienza. Spesso, parlando della sua famiglia e della formazione ricevuta, Kamala ha sottolineato quanto essa sia stata importante nella sua crescita e quanto sia fiera di essere parte di un patrimonio così ricco ed antico come la cultura dell’India.
D’altra parte, la candidata democratica non nasconde i problemi incontrati da lei e dalla sorella Maya a crescere come ragazze di colore nell’America degli anni Settanta ed Ottanta. Le due ragazze facevano parte delle cerchie degli afro-americani di Berkeley dove la madre, pur essendo indiana, era entrata nei gruppi progressisti della società. Tale atteggiamento è significativo. La comunità indiana negli Usa, infatti, è assai diversificata non solo e non tanto per via della provenienza da diverse parti dell’India e dell’epoca in cui i vari gruppi si sono stabiliti nel Nord America. Per contro, altri politici di origine indiana, come Bobby Jindal, governatore della Louisiana, hanno chiaramente preso le distanze dalle loro origini. Jindal, e non solo lui, ha addirittura cambiato il nome da Piyush a Bobby ed è diventato cristiano suscitando non poche polemiche. Altri hanno fatto lo stesso prima o dopo aver vinto delle elezioni che li hanno portati alla ribalta della sfera pubblica americana. Kamala Harris ha scelto di restare fedele alla sua identità e di sottolineare quanto la madre e la cultura dalla quale proveniva abbia avuto un influsso decisivo nella formazione della sua personalità e nelle sue scelte personali e politiche.
La comunità indiana negli Usa si trova oggi in una situazione non facile. Le persone provenienti dall’India sono ormai più di un milione ed hanno posizioni molto diverse, anche se sono molti a riconoscere che la scelta di Biden per Kamala ha dato visibilità ad una comunità fino ad ora, di fatto, quasi invisibile. Molti, soprattutto fra gli imprenditori di successo e magnati originari del sub-continente hanno accolto il Primo Ministro Surendra Modi, durante la sua visita negli Usa che lo ha visto grande protagonista con la retorica che tutti gli riconoscono. Recentemente, poi, l’asse stabilitosi fra Trump e Modi, confermato dalla visita del presidente americano in India, nel febbraio scorso, ha creato non pochi imbarazzi sia riguardo alla questione del Kashmir, lo stato indiano a maggioranza musulmana conteso fra India e Pakistan, e ridotto a Territorio dell’Unione con decisione unilaterale del governo di Delhi, sia in merito alla questione dei diritti delle minoranze che Modi è accusato di mettere in pericolo.
L’indomani dell’annuncio di Kamala come vice-presidente di Biden, il governo indiano si è affrettato a dichiarare il suo ‘no comment’. Il portavoce del Ministero degli Esteri (MEA) di Delhi ha affermato che non è compito del suo governo interferire nella politica interna di un altro Paese.
Chissà come se la caverà Kamala Harris su questioni che toccano il sub-continente, un argomento importante per vari motivi: il Covid 19, di cui Usa e India sono ora i due Paesi con più contagi e la questione dei diritti umani, argomento controverso nell’India di Modi.