Kamala, Gitanjali e Ranjitsinh. Tre indiani globali
Kamala, Gitanjali e Ranjitsinh. Tre nomi che non lasciano dubbi sulla loro provenienza indiana, meglio ancora indù. Difficile pronunciarli per molti che indiani non sono o, anche, pronunciarli solo, ma correttamente. Nomi che si sono imposti all’attenzione mondiale salendo sul palcoscenico globale, quasi dal nulla. Più conosciuta ovviamente Kamala, che al nome indiano coniuga Harris, e che è la vice-Presidente eletta degli Stati Uniti, senza dubbio, come abbiamo visto, tutt’altro che una figura comprimaria.
Molti azzardano la certezza che, forse, senza una come lei alla vice-Presidenza Biden non ce l’avrebbe fatta a scalzare la dinastia trumpiana. Lo ha intuito anche il Time Magazine che ha dedicato la sua copertina dell’anno a Biden and Harris insieme a significare che, per la prima volta, non è il neo-eletto Presidente a fare la differenza ma l’accoppiata che è stata vincente.
Tuttavia, Kamala (si pronuncia quasi sorvolando la seconda ‘a’, come se fosse Kamla) non è l’unica figura di spicco con radici indiane ad apparire sulla copertina del Time o a far notizia. Qualche settimana fa la protagonista è stata Gitanjali, americana ma di chiare origini del sud-India come recita il suo cognome Rao. L’adolescente – ha solo 15 anni – è stata nominata ‘the kid of the year’, la ‘ragazza dell’anno’. Non è nuova a imprese del genere. Infatti, tre anni fa, all’età di dodici anni aveva già vinto Discovery Education 3M Young Scientist Challenge ed aveva avuto un riconoscimento prestigioso da Forbes 30 Under 30 per le sua capacità innovative.
A dieci anni, guardando un programma televisivo la ragazzina indo-americana era venuta a sapere dell’inquinamento idrico e nel corso dei due anni successivi è riuscita a sviluppare un meccanismo per il controllo della qualità delle acque. Questo l’ha portata alla ribalta e all’attenzione dei canali social ed è stata invitata già tre volte come TEDx speaker oltre che aver ricevuto il Premio presidenziale per giovani che si curano dell’ambiente (President’s Environmental Youth Award). Non ultimo Gitanjali ha saputo sviluppare un metodo basato sull’intelligenza artificiale per smascherare il cyber-bullismo. Il suo sogno è quello di studiare genetica e epidemiologia presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology.
Ed infine Ranjitsinh, un giovane insegnante del Maharashtra, lo stato dove si trova Mumbai, che ha ricevuto il premio di insegnante dell’anno, che nel 2020 ha visto la partecipazione di 12mila concorrenti provenienti da 140 Paesi. I promotori del premio sono la Vankey Foundation e l’Unesco che hanno dato vita ad una sorta di Nobel per gli insegnati.
Ranjitsinh è un tipico maharashtrian come recita il suo cognome Disale e da undici anni esercita la sua professione – nel suo caso la si può definire veramente come ‘missione’ – presso la Zilla Parishad Primary School, a Paritewadi. Il merito principale che ha assicurato la vittoria dell’insegnante indiano è stata la sua capacità di favorire una scolarità pari al 100% nel piccolo villaggio in cui insegna. Non solo. Disale ha sempre avuto una attenzione particolare all’educazione delle bambine e ragazze che, spesso, nell’India rurale è sottovalutata per motivi di tradizione e per assicurare che le figlie possano essere date in spose appena possibile. In questa prospettiva nei segmenti più tradizionali e chiusi della società indiane la frequenza della scuola, soprattutto dopo le elementari e le medie diventa un diversivo ed è percepita come un pericolo.
É dal 2009 che Ranjitsinh ha iniziato a insegnare a Paritawedi. Aveva trovato un edificio scolastico in condizioni pietose, vicino a una stalla, con pochissimi studenti quasi tutti ragazzi. Inoltre, pur trovandosi nello stato del Maharashtra dove la lingua ufficiale è il marathi, essendo il villaggio già nella zona del Konkan ai confini con il Karnataka, l’insegnante ha dovuto imparare la lingua kannada, tipica dello stato di Bangalore, diversissima dal marathi, sua lingua madre.
Disale ha introdotto anche l’uso di strumenti digitali e preparato programmi di studio personalizzati. Alcuni aspetti del suo sistema sono ora usati dal Ministero dell’Educazione per tutta l’India. Addirittura fra le ragazze che sono state sue allieve si è verificato il primo caso di una laureata.
Altri due aspetti si sono mostrati fondamentali nella approccio all’insegnamento di questo giovane indiano: l’attenzione alla situazione climatica della zona e la necessità di stabilire rapporti con studenti di altri Paesi. Infatti, al fine di promuovere la pace tra i popoli, un’altra sua iniziativa è stata quella di creare una rete fra giovani di India, Pakistan, Iraq, Iran, Israele, Palestina, Usa e Corea del Nord.
In India il ruolo dell’insegnate è cruciale, da tempo immemorabile. La categoria tipica è quella del guru, il maestro che può essere sia guida spirituale che didattica, ma che afferma un principio molto significativo che si esprime nella radice del termine stesso che sta a indicare luce. Il guru, il maestro, è colui che illumina la strada e Ranjitsinh si è veramente rivelato tale. Fra l’altro ha deciso di condividere la metà della somma vinta col premio (cinquecento mila dollari) con i concorrenti finalisti. Un testimone vero ed autentico dei valori che insegna.
I successi e la visibilità conseguente di questi indiani o, nel caso di Kamala e Gitanjali, indo-americani ci fa riflettere sul senso delle migrazioni viste come opportunità piuttosto che come pericolo o minaccia. Oggi nel mondo globale, anche quello post-pandemico che verrà, lo spostamento di gruppi più o meno consistenti non rivela solo la fuga da situazioni disperate ma anche un riconoscimento che uomini e donne avvertono che i muri di casa o i limiti del proprio villaggio sono grandi come il mondo.
In qualsiasi situazione il cercare un nuovo luogo per mettere le radici proprie e della famiglia di appartenenza o di quella futura non è decisivo solo per chi si muove ma anche per i Paesi o contesti che accolgono. Le grandi civiltà sono sempre nate dall’incontro fra gruppi e popoli, che significa anche culture e modi di concepire la vita. Anche se provocate da disastri climatici o bellici, restano dei meccanismi che si mettono in moto e che aprono il mondo su nuovi orizzonti.
L’accoglienza è, quindi, anche un investimento per il futuro dei nostri Paesi. Allo stesso tempo, l’esperienza di Ranjitsinh Disale dimostra quanto sia potente il progetto educativo di un Paese, ma anche di un suo particolare. E’ nelle scuole, anche quelle in condizioni penose, che si può giocare il futuro di una nazione. Non dimentichiamoci che, spesso, grandi figure dell’Africa, Asia e anche sud America provengono da condizioni diseredate, ma hanno finito per fare la storia dei loro popoli e, spesso, del mondo intero.