Kairos Palestina, giustizia e pace per la Terra Santa

Arrivata in Italia una delegazione del movimento cristiano palestinese nonviolento nato dopo la lettera aperta, “un momento di verità", firmata nel 2009 dai responsabili di 13 confessioni cristiane presenti in Terra Santa. Un cammino sempre più difficile con l’aggravarsi dello scenario politico in Medio Oriente.  Appello urgente dei patriarchi delle Chiese cristiane contro lo sradicamento degli abitanti di Gaza annunciato da Trump: «Abbandonarli ora significherebbe abbandonare la nostra comune umanità»
Preghiera al Santo Sepolcro. Foto Archivio PIERRE TERDJMAN ISRAEL OUT / PAL

Una settimana intensa di appuntamenti in Italia, dal 17 al 23 febbraio, per la delegazione di Kairos Palestina, la rete di cristiani palestinesi appartenenti a diverse chiese che si è costituita nel 2009 a partire da un documento condiviso di lettura dei segni dei tempi.

Si tratta di una lettera secondo il genere comunicativo legato ai primi secoli di diffusione del Vangelo a partire da quella Terra che in molti si ostinano a chiamare “Santa” nonostante l’enorme versamento di sangue innocente che continua a bagnarla.

Sappiamo qualcosa, forse, delle divisioni interne al popolo palestinese che vive una penosa diaspora a partire dal 1948, ma è anche tuttora presente all’interno dello Stato di Israele, il 20% dei cittadini è palestinese, e nella Cisgiordania dove l’Autorità nazionale palestinese non ha il controllo effettivo del territorio insidiato da centinaia di migliaia di coloni millenaristi sostenuti dall’esercito di Israele.

Il mondo si era dimenticato dell’enclave della Striscia di Gaza sotto il ferreo controllo di Hamas, la complessa organizzazione politico militare islamista in grado di eludere la sorveglianza dell’intelligence di Tel Aviv e realizzare il 7 ottobre 2023 una terrificante strage di oltre 1400 vittime, tra civili e militari, negli insediamenti israeliani collocati oltre i sorvegliati confini di Gaza.

La prevedibile, violentissima, reazione del governo Netanyahu, in cui ha un peso decisivo l’estrema destra suprematista, ha portato alla distruzione di un agglomerato urbano tra i più densamente popolati nel pianeta provocando decine di migliaia di vittime con modalità tali da far scattare l’ammissibilità dell’inchiesta della Corte penale internazionale circa la configurazione, da accertare, del crimine di genocidio. Un termine considerato blasfemo da parte israeliana perché rimanda allo sterminio di 6 milioni di persone pianificato, durante la seconda guerra mondiale, dal regime hitleriano contro il popolo ebraico.

La strage del 7 ottobre è percepita dagli ebrei come il tragico segnale del ripetersi dei ricorrenti eccidi di massa che hanno colpito la minoranza ebraica nella storia. Il termine genocidio, come è noto, provoca anche l’ira del governo turco quando viene associato al tentativo di annientamento degli armeni da parte dell’impero ottomano che sterminò, tra il 1915 e 1916, almeno 3 milioni di persone appartenenti a questa popolazione cristiana.

DOMANDE APERTE

Cosa pensa e come agisce il piccolo resto dei cristiani palestinesi che non è espatriato ma continua a vivere in un contesto segnato da ferite così profonde?

Sappiamo che papa Francesco, per infondere speranza e aiuto, si collega ogni mattina con la parrocchia cattolica di Gaza che ospita centinaia di sfollati in quella terra, evangelizzata direttamente da Pietro, dove hanno vissuto tanti martiri ed è stata la sede del primo monachesimo cristiano e del vescovo San Porfirio (347-420). Ora in quella Striscia dove, secondo la tradizione, sostarono Giuseppe, Maria e Gesù nel loro viaggio di ritorno dall’Egitto dove erano scappati per sfuggire ad Erode, è stata annunciata da Trump un’inaccettabile piano di trasferimento forzato della popolazione che ha trovato compatti nella condanna i patriarchi delle Chiese cristiane con un comunicato che cita i toni ammonitori del profeta Isaia:  “Guai a quelli che fanno leggi ingiuste, a quelli che emanano decreti oppressivi, per privare i poveri dei loro diritti e negare la giustizia agli oppressi” (Isaia 10:1-2).

Anche la lettera del 2009 di Kairos Palestina ha un’intestazione solenne: «Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme abbiamo ascoltato il grido di speranza che i nostri figli hanno lanciato in questi tempi difficili».

Il lungo documento contiene un riferimento esplicito al percorso definito anch’esso Kairos, che vuol dire infatti “il tempo giusto”, promosso in Sud Africa nel 1985  «per sostenere la lotta contro l’oppressione e l’occupazione» seguendo un cammino di verità e riconciliazione e cioè in maniera nonviolenta.

La parola “noi” è ripetuta continuamente nella lettera dei patriarchi dove ammettono la loro stessa inerzia nel non aver dichiarato apertamente «che l’occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l’umanità». «Questo è il momento del pentimento per il nostro silenzio».

Alla chiara condanna di ogni messianismo politico che pretende il possesso esclusivo della terra, si associa il forte invito rivolto implicitamente ad alcuni gruppi cristiani che sostengono l’occupazione israeliana con motivazioni escatologiche. Il ristabilimento di Israele è la premessa del ritorno del Messia secondo i cristiani sionisti tra le cui fila troviamo, ad esempio, Mike Pompeo, l’ex direttore della Cia e segretario di Stato con la prima presidenza Trump.

«La nostra terra è la terra di Dio, come tutti i Paesi del mondo» si sottolinea, invece, nella lettera di Kairos Palestina per spronare tutti a «liberarla dal male e dall’ingiustizia della guerra…Dio ci ha messo qui come due popoli, e Dio ci ha dato la capacità, se vogliamo, di vivere insieme e stabilire giustizia e pace, facendone realmente la terra di Dio».

All’affermazione della condanna dell’occupazione militare segue la convinzione di non poter «contrastare il male con il male». «È un difficile comandamento – riconoscono i patriarchi – particolarmente quando il nemico è determinato a imporsi e negare il nostro diritto di rimanere qui nella nostra terra». Ma «possiamo resistere con la disobbedienza civile. Noi non resistiamo con la morte ma piuttosto con il rispetto della vita».

Accanto alla condanna «di ogni forma di razzismo, sia religioso che etnico, inclusi antisemitismo e islamofobia» i patriarchi e capi delle Chiese invitano «a dire la verità e prendere una posizione di verità nei riguardi dell’occupazione Israeliana delle terre palestinesi» indicando nel «boicottaggio e disinvestimento uno strumento di non violenza per giustizia, pace e sicurezza per tutti».

Nel documento del 2009 si afferma che «cercare di fare dello stato uno stato religioso, ebreo o islamico, soffoca lo stato, lo confina entro stretti limiti, e lo trasforma in uno stato che pratica discriminazione ed esclusione, preferendo un cittadino all’altro». In questa prospettiva i patriarchi evidenziano il mantenimento dello statuto internazionale di Gerusalemme «città abitata da due popoli di tre religioni».

Nove anni dopo quella lettera, nel luglio 2018 il parlamento israeliano ha approvato, 62 voti contro 55, una legge di rango costituzionale che definisce Israele “Stato nazionale del popolo ebraico”, mentre è continua la pressione verso gli stati accreditati a trasferire la sede delle loro ambasciate da Tel Aviv a Gerusalemme. Trasloco realizzato dalla prima presidenza Trump, come riconoscimento di fatto della “città sacra” quale capitale esclusiva dello stato di Israele.

Vanno in questa direzione la pressione ad insediare sempre più coloni israeliani nella zona est della città che rientra tra i territori palestinesi occupati dopo la guerra del 1967. Di fatto, la Palestina non è riconosciuta come stato da molti Paesi, tra i quali l’Italia, e ciò espone le ragioni del suo popolo alle discriminazioni del “doppio standard” denunciato nella lettera dei Patriarchi del 2009.

L’aggravamento progressivo delle condizioni dei palestinesi, la loro divisione interna arrivata allo scontro armato tra Hamas e Anp, l’isolamento sperimentato con i cosiddetti accordi di Abramo sponsorizzati dagli Usa per normalizzare i rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi, la tragedia del 7 ottobre 2023 e la desolazione della Striscia di Gaza ridotta in macerie, costituiscono ostacoli che appaiono insormontabili per gli estensori di quell’appello del 2009 che ha definito la resistenza  «un diritto e un dovere per il cristiano» da esercitare «con amore». «Una resistenza creativa che deve trovare modi umani che toccano l’umanità del nemico».

Un dilemma che non può lasciare indifferente nessuno. A partire dai fratelli e sorelle nella fede.

FORTI LEGAMI CON L’ITALIA

La questione israelopalestinese è sempre stata molto viva nel nostro Paese dove esiste una antichissima presenza di comunità ebraiche, composte da circa 30 mila persone.

Sull’Italia grava la colpa delle leggi razziali del 1938 aggravate dal “patto di acciaio” siglato con la Germania nazista nel 1939 che ha portato al rastrellamento degli ebrei avvenuto nelle nostre città con la loro deportazione nei campi di sterminio. Responsabilità gravissime mitigate dalla rete di solidarietà organizzata dalla Chiesa e da altre organizzazioni, oltre alla spontanea azione di tanti “giusti” capaci di resistere a tanta disumanità.

Sempre molto attiva e diffusa è, anche, la rete di sostegno al popolo palestinese, con una miriade di associazioni e movimenti tra i quali troviamo l’Assopace promossa dall’ex parlamentare europea Luisa Morgantini e la campagna “Ponti e non muri” lanciata dal movimento Pax Christi con l’impegno assiduo di don Nandino Capovilla, parroco a Marghera, quartiere operaio di Venezia, che promuove la tessitura di rapporti diretti con le comunità cristiane, e non solo, che praticano la resistenza nonviolenta.

Da questa esperienza è nato il sito bocchescucite.it, che cerca di far circolare notizie dai territori occupati solitamente trascurati dall’informazione mainstream, e, quindi, anche il tour italiano di Kairos Palestine che permetterà di conoscere direttamente la delegazione che sbarcherà, come prima tappa, a Napoli lunedì 17 febbraio per arrivare, in un momento finale a Venezia domenica 23 febbraio.

Mercoledì 19 febbraio sarà difficile realizzare l’incontro programmato a Roma con Francesco, a causa della condizione di salute del papa, ma è confermato l’incontro con alcuni parlamentari delle commissioni esteri di Camera e Senato e la conferenza stampa nel pomeriggio presso la sede della Fondazione Basso.

Come sempre avviene in questi casi, l’attenzione dei media a larga diffusione, oscilla dall’indifferenza alla creazione dello scandalo per qualche polemica facile a innescarsi davanti a questioni complesse.

Ascoltare in maniera attenta e porre domande di senso è il minimo di umanità richiesto per chi cerca di tenere accesa qualche luce nel buio.

Rappresentanti di Kairos Palestina si sono, già, recati in Francia, Regno Unito e Stati Uniti. La delegazione giunta in Italia è composta dal pastore luterano Munther Isaac, decano del Bethlehem Bible College, Rifat Kassis, anch’egli di confessione luterana, attivista dei diritti umani, e la giurista Sahar Francis, direttrice di Adamer, Associazione per i diritti umani dei prigionieri palestinesi  di Ramallah, città della Cisgiordania dove ha sede, attualmente, l’Autorità nazionale palestinese.

Qui il link utile per accedere ad ulteriori informazioni sull’itinerario in Italia della delegazione di Kairos Palestina.

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