Kairós o l’attimo fuggente
Dal 1982 il Museo di Antichità di Torino – Museo le cui origini risalgono alla metà del Cinquecento con le raccolte del duca Emanuele Filiberto di Savoia, poi incrementate da Carlo Emanuele I – ha sede nelle Serre del Palazzo Reale in piazza Castello. Chi visita le sue prestigiose collezioni di arte classica, fra tanta abbondanza, può non far caso ad un rilievo, già porzione di un sarcofago attico, o rimanere perplesso sul suo significato: rappresenta un giovane nudo fornito di due ali ricciolute sulle spalle e di una coppia di alette ai piedi. Abbondanti ciocche gli scendono sul viso, mentre la nuca appare inspiegabilmente rasata. Mentre la mano destra regge un oggetto a mezzaluna, sul quale è in equilibrio una bilancia, la sinistra fa calare uno dei due piatti. Lui stesso sembra in bilico sulla cornice del rilievo. È il Kairós.
Per spiegare di che si tratta, occorre precisare che gli antichi greci avevano due parole per dire tempo: kronos e kairós. Kronos indicava la durata, kairós significava invece il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio o "tempo di Dio". (È appunto in quest’ultima accezione che la parola kairós viene utilizzata nel Nuovo Testamento. Inoltre nella Chiesa ortodossa orientale, prima che la liturgia divina inizi, il diacono s’indirizza al prete con le parole «È tempo [kairós] che il Signore agisca», a indicare che quel momento è un incontro con l’Eternità).
Sempre i greci avevano elevato il kairós al rango di divinità da onorare e, pertanto, da visualizzare in qualche modo come tutte le altre dell’Olimpo. Ma come era possibile rappresentare un concetto astratto come l’”attimo fuggente”, l’occasione propizia da cogliere in fretta? Ci pensò il genio di Lisippo, l’ultimo grande maestro della scultura greca classica, attivo dal 372-368 a.C. fino alla fine del IV secolo a.C. Tra le molte opere da lui prodotte per Alessandro Magno spicca infatti una statua bronzea (ora perduta) dedicata al kairós, per la quale inventò una iconografia particolare che ebbe in seguito molta fortuna, tanto da venire riprodotta – anche con varianti – in opere scultoree, mosaici, gemme. L’originale, che si poteva ammirare nel portico dell’agorà di Sicione, città natale di Lisippo, rappresentava – secondo la descrizione tramandataci da Callistrato – un adolescente nudo, il cui piede sinistro poggiava su una sfera o una ruota. Suoi attributi erano il rasoio e la bilancia.
Sulla base della statua era inciso un epigramma di Posidippo nel quale lo stesso kairós si presentava, a scanso di equivoci (non a tutti la rappresentazione allegorica doveva risultare immediatamente comprensibile): «Di dov’era lo scultore? Di Sicione./ Ed il suo nome? Lisippo./ E chi sei tu? Il tempo che sottomette ogni cosa./ Perché stai in punta di piedi? Sto sempre correndo./ E perché hai un paio di ali ai piedi? Io volo nel vento./ E perché tieni un rasoio nella mano destra? Come segnale agli uomini/ del fatto che io sono più affilato che qualsiasi altro bordo./ E perché i capelli ti scendono sulla faccia? Perché chi m’incontra mi acciuffi./ E perché, in nome del cielo, il retro della tua testa è rasato? Perché/nessuno che un tempo mi ha lasciato correre sui miei piedi alati -/ anche se, scontento, lo desidera – mi prenderà ora da dietro./ Perché l’artista ti ha modellato? A tuo vantaggio, straniero, e mi ha/ messo nel portico a mo’ di lezione».
Nel rilievo di Torino è assente la sfera sulla quale il giovane dio era in bilico: una variante dovuta alla necessità, da parte dello scultore, di adattare la figura allo spazio disponibile nel fianco del sarcofago. Tuttavia, questa pur pallida eco del capolavoro di Lisippo è capace ancora di suggerire la precarietà, l’incertezza di qualcosa che passa… insomma l’attimo fuggente. Da cogliere approfittando al massimo delle gioie fugaci della vita, secondo la concezione pagana riecheggiata ancora nel Faust di Goethe: «Fermati, attimo. Sei così bello!». Mentre, sia nel cristianesimo che in altre grandi religioni, esso è divenuto un momento chiave della vita spirituale: un incontro con Dio, se vissuto nella sua volontà, e quindi via che conduce alla santità.