Julio Larraz
È cubano, lo si sente e soprattutto lo si vede. Larraz è solare e crudele. Crudelissimo nel sarcasmo con cui guarda i potenti, sia messi seduti come dei Napoleoni o a passeggio con le guardie del corpo. Anche un cane nell’ampia poltrona può esser il segno della ferocia del potere che non risparmia neppure gli animali, i quali anzi sembrano prendere le fisonomie dei loro padroni. O viceversa. Come pure certi corpi femminili accanto ai generali capi di Stato, incomunicabili fra loro. Il sesso come strumento freddo, senza anima, solo carne. E brutta carne.
Altre volte invece l’incontro fra un uomo e una donna è appena accennato ed è tepore, silenzio, corpi senz’occhi: il colore bianco azzurro e carne rende l’intimità sentimentale un profumo fragrante. La luce di Julio infatti sembra profumare, da lontano come inebriarsi di cose, tessuti, evocando inflessioni e declinazioni del cuore. Ci sono nature morte che sono iridescenti di vita: un letto irrorato di luce, un gatto sovrano sopra le lenzuola candide, e poi un cesto di pane e di frutta, solare come la vita; una perla, un diamante. E case, marine, rocce e cieli.
Vola qui l’anima di Julio, inabissandosi in oceani blu smeraldo, visto sempre dall’alto di un osservatorio fuori dal mondo, come da un altro cielo. Sensuale e terragno, sarcastico e affettuoso, il mondo di Julio anela ad uscire dalla terra. Gli basta l’ala di un aereo ed è già oltre lo spazio.
La pittura di Larraz, fatta di colore caldo e di luce ricca, è lo sguardo dell’immortalità che vede le stupidità umane, la bellezza delle piccole cose e degli animali, la floridezza della natura e gioisce nell’essere sé stessa: poesia della vita. È tutto.
Julio Larraz. Roma, Vittoriano. Fino al 30/9 (catalgo Skira)