Julian Schnabel L’estate della vita

Aguardare le tele, in genere vaste, di Schnabel – classe 1951 – si resta scioccati. (E ci fa bene). Tecniche le più varie, spazi dilatati, messaggi ora chiari ora enigmatici. Una creatività debordante, che non dà respiro e requie. Egli dipinge l’estate, così afferma, fin da bambino. Ma la sua estate è primordiale: macera i sogni,distilla i sughi delle anime, li mescola. Ne esce non un mondo, ma più mondi di forme e colori dove ogni suggestione – dalla pittura europea presente e passata, alla musica, al cinema, all’arte contemporanea – serve, in una apparente babele, a dire una unica parola importante: la vita. Oggi, nel mondo globalizzato dagli infiniti stimoli e messaggi. È questo che lo rende attuale, ne comprende la ricerca di regista cinematografico, giustifica una polivalenza di espressioni artistiche quasi da maestro antico: personalissimo, in ogni forma espressiva. Spesso le sue opere sono senza titolo. Non per una mania narcisistica o per una originalità tout court, ma perché un titolo limiterebbe l’opera, la priverebbe della molteplicità di significati – di vite – che essa contiene. Ecco Untitled (Mi vida es un Cumbre de Mentirai), del 1993. Un cuore rosso al centro da cui viaggiano bombe colorate in ogni direzione, pennellate forti, timbri ben poco mescolati. Una energia incredibile. Oppure,Mujer Primaverile del ’94, una tela deliziosa a descrivere l’universo femminile. Una macchia allungata – l’anima? – palpita tra rosaviolacei intensi e timbri sabbiosi. Intuitivamente, si coglie che Schnabel vede l’interiorità come una carezza affettuosa, delicatissima. Ma ci vuole l’intuizione, che è l’origine dell’arte del pittore e ciò che essa esige per essere apprezzata e comprendere gli universi possibili che intende rappresentare. Così lo struggente, luminoso Senza titolo, ragazza senz’occhi, del 2001 vede un volto di giovane in forti gialli e blu con gli occhi segati da una linea grigia. Non vede, non vuol vedere: sembra felice. È evidente il significato simbolico della tela, perché Schnabel non è mai banale o solo istintivo. Vive il nostro tempo, comprende l’ansia di una giovinezza che per troppo vedere non vede più. E ha bisogno di guardare dentro di sé. Egli invece osserva fuori di sé. Nei ritratti, ad esempio. Quello di Ines Torlonia del ’97, vede la donna in verde vellutato appoggiata alla balaustra, sullo sfondo di un tappeto di colori marciti. Nel volto abbronzato, lo sguardo è pensieroso. Intorno a lei, il vuoto. Un vuoto d’amore, un silenzio sociale? Schnabel non lo dice, lo lascia scoprire a noi. Due lacrime biancheggiando tagliano la tela, come in altri dipinti. Due segmenti di un bianco abbagliante, forse una luce interiore sempre presente. Quando poi il pittore si autoritrae, come nel 2004, lo vediamo, spatola in mano, muto davanti ad una tela, ma deciso nella campiture larghe di verdi e marroni, forte come un creatore. Schnabel non ha paura. Ama la vita, la vuole esplorare tutta, cominciando da sé stesso. Si avventura allora in immagini anche surreali, donne immerse in una sorta di boccia trasparente, dai lineamenti esotici, come se la natura umana tendesse ad una trasfigurazione laica. Sempre con la sua linea in diagonale, a volte scura come una ferita dell’anima, uno spazio per il dolore che non gli è sconosciuto. C’è un Cristo in croce, del ’97, immenso e grave, con i capelli che gli infittiscono il volto, trafiggendolo. Ma lo scenario, sul fondo, è percosso da una luce soffusa, la stessa dell’ultimo autoritratto del pittore nel 2005. Ora, i suoi sfondi tendono sempre più al chiaro, al riverbero luminoso. Che la vita abbia per Schnabel preso una direzione verso le domande essenziali? Il suo terzo film, Le scaphandre et le papillon, presentato a Cannes quest’anno, è ancora una domanda sulla morte di una malato terminale. Ma senza eutanasia. Schnabel infatti ama davvero la vita dall’alba al suo naturale tramonto. Per questo dipinge ancora l’estate, il tempo della sua maturità. Summer, Julian Schnabel. Dipinti 1976-2007. Milano, Rotonda della Besana, fino al 30/9 (catalogo Skira)

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