Jules Isaac, Giovanni XXIII e la svolta di 60 anni fa
Ci sono ricorrenze che spesso sono ignorate o passano inosservate o, nonostante sembrino argomenti per pochi specialisti, rappresentano svolte storiche e spesso profetiche. Qualche giorno fa – il 13 giugno – si sono compiuti i 60 anni di un incontro di cui pochi sanno e che ha segnato uno sviluppo importante all’interno della Chiesa cattolica e dei rapporti fra il mondo ebraico e quello cristiano, con risvolti inattesi anche nell’atteggiamento con fedeli di altre religioni, contribuendo in modo significativo a quel flusso di processi che viene sintetizzato nel binomio “dialogo interreligioso”.
Infatti, il 13 giugno del 1960, Jules Isaac (1877-1963), storico francese di origine ebraica, che ad Auschwitz aveva perso la moglie, la figlia e il genero, otteneva, dopo vari tentativi, un’udienza privata con Giovanni XXIII.
Isaac, nell’immediato dopoguerra, aveva dato vita in Francia all’Amicizia ebraico-cristiana, ispirata da un convegno tenutosi nel 1947 a Seelisberg in Svizzera, dove una settantina di intellettuali cattolici, evangelici ed ebrei di 19 Paesi si erano incontrati per confrontarsi sulla possibilità di una azione comune contro l’antisemitismo. In quell’occasione, era emersa una chiara denuncia di tale aberrazione sia come peccato contro Dio e l’umanità che come pericolo per la civiltà moderna.
Per avviare processi positivi i presenti formularono un appello alle Chiese cristiane sotto forma di 10 punti, che dovevano aiutare la comprensione dell’ebraismo e portare a nuovi rapporti tra ebrei e cristiani. Successivamente, nel 1949, Jules Isaac aveva avuto un breve incontro, a Castel Gandolfo, con Pio XII al quale aveva consegnato i punti fissati dalla Conferenza tenutasi in Svizzera. Pio XII non ne era al corrente e promise di leggerli. Lo stesso anno aveva, poi, pubblicato un testo dal titolo Gesù e Israele in cui invitava a un esame di coscienza e alla revisione delle antiche rispettive posizioni dottrinali, spesso formulate «a base di collera e rancore».
Non fu cosa semplice ottenere un’udienza con Giovanni XXIII. Ma la cosa riuscì, oltre che per le vie ufficiali, anche grazie all’intervento informale, ma efficace di una donna, Maria Vingiani, già giovane assessore alle Belle Arti a Venezia, che aveva conosciuto entrambi i protagonisti dell’incontro. Negli anni ’50, infatti, Roncalli era patriarca sulla laguna e Isaac era passato dalla Serenissima nel 1957 per motivi culturali. Isaac era cosciente che la follia della Shoah aveva radici pagane ma, al tempo stesso, era altrettanto sensibile alla storia per capire che secoli di “disprezzo” da parte cristiana verso gli ebrei avevano offerto un terreno fertile alle estreme conseguenze a cui era arrivato l’antisemitismo nazista. Era suo desiderio parlare con il papa, che da poco aveva annunciato il Concilio Ecumenico Vaticano II affinchè si facesse promotore di una linea che scongiurasse ricorsi storici dopo l’Olocausto.
Dopo vari imprevisti, che parevano aver cancellato la possibilità dell’incontro, Isaac fu ricevuto in Vaticano e incontrò Giovanni XXIII per circa mezz’ora. Nel corso della conversazione l’anziano ebreo francese presentò all’altrettanto vegliardo Roncalli la necessità di una revisione dell’atteggiamento e dell’insegnamento cristiano sull’ebraismo. Al termine, prima del congedo, pose una domanda cruciale: «Posso avere almeno un briciolo di speranza?». Giovanni XXIII fu lesto a rispondere in modo incoraggiante: «Molto più che una speranza lei ha diritto di avere». Il papa aveva fatta sua l’istanza e di lì a poco avrebbe affidato la questione a uno dei suoi collaboratori più fidati, il cardinale tedesco Agostino Bea, gesuita, già rettore del Pontificio Istituto Biblico e confessore di Pio XII.
Fu l’inizio di un lungo percorso che portò alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, il più breve dei documenti del Concilio Vaticano II, ma forse anche quello che ha richiesto più stesure e correzioni fino alla pubblicazione avvenuta, nell’ottobre del 1965, alla vigilia della conclusione dell’assemblea conciliare.
Era l’inizio di una nuova fase per la Chiesa cattolica e il mondo ebraico. Ma non solo. Infatti, sebbene la stesura finale di Nostra Aetate dedichi la parte più consistente e significativa ai rapporti fra la Chiesa cattolica e l’ebraismo, nei vari processi di revisione si è via via arricchita di parti rivolte al rapporto con altre tradizioni religiose. Una vera svolta per la Chiesa.
I due protagonisti dell’incontro del 13 giugno 1960 non arrivarono a vedere quelle pagine. Entrambi morirono non molto tempo dopo, ma quella mezz’ora ha, in un certo senso, cambiato quanto si era costruito nei secoli e che poco aveva a che fare con la fraternità. Quel 13 giugno, pochi lo sanno, ha segnato una svolta storica.