Juan Pedro non molla
Immaginate di pesare 600 chili. 595, per la precisione. Non è affatto facile mettersi nei panni di Juan Pedro Franco, messicano detentore del per nulla invidiabile record da Guinness dell’uomo più obeso al mondo. Per dare un’idea, una persona con quella mole non solo non può camminare, non può neppure reggersi in piedi. La sua è stata quindi una vita molto dura e difficile. Ora si apre per lui una speranza concreta. Dopo mille e una vicissitudini, tra cui un incidente stradale che l’ha prostrato per un anno e mezzo a letto, varie malattie e un coma, oltre a seri problemi vissuti dai suoi genitori, di umili condizioni, ha perso 220 kg grazie a una terapia specialistica condotta da un’équipe medica di Guadalajara. E mercoledì scorso, gli è stato introdotto un bypass gastrico che dovrebbe farlo dimagrire di ulteriori 216 kg in un anno e mezzo. In questo modo, potrebbe avvicinarsi per Juan Pedro il sogno di una vita “normale”.
«Passeggiare, sentire l’aria e il sole sulla pelle»: questi sono i sogni per lungo tempo impossibili per chi non può alzarsi dal letto e respira ancora grazie a una bombola di ossigeno. «Quando potrò camminare, la prima cosa che farò sarà andare a ringraziare Dio per avermi permesso di andare avanti», afferma Juan Pedro, di Aguascalientes, mentre ammette che «stare sempre a letto è molto complicato, molto difficile». Aveva cominciato ad ingrassare sin dai primissimi anni di vita, a un ritmo di 10 kg all’anno. A 15, pesava già 200 kg. La causa principale di tale gonfiarsi inarrestabile è, secondo i medici, un’anomalia alla tiroide. Un incidente stradale, che l’ha costretto a letto per un anno e mezzo, a 17 anni, ha notevolmente peggiorato la situazione. Da allora, sua madre Maria ha smesso di lavorare per dedicarsi a tempo pieno alla cura di Juan Pedro, mentre il padre, Herminio, ha dovuto abbandonare l’attività a causa di una malattia alle gambe.
La storia di Juan Pedro ci inspira. Non si è mai arreso, non perde il buonumore e la voglia di scherzare. A chi gli chiede come stia, risponde spesso, con un sorriso: «Eccoci qui, con la voglia di andare avanti». Nel maggio scorso, un intervento gli ha ridotto lo stomaco dell’80%, e la sua qualità di vita è migliorata notevolmente. Ora può almeno star seduto nel letto, fare alcuni esercizi fisici, stare in piedi alcuni minuti e fare pochi passi. Di uscire di casa, non se ne parla ancora. Ma il cambiamento è rivoluzionario, dopo anni in posizione orizzontale.
Come passa le sue giornate? Da quando lo può fare, scrive sul suo profilo di Facebook, dove riceve affetto e incoraggiamento da tante persone. Poi aiuta la madre nel tessere sciarpe e altri indumenti e il papà nell’impacchettamento di dolci fatti in casa. Giorni fa, ha raccontato a BBC Mondo la sua storia. Un’infanzia relativamente normale, la sua, con partite di calcio con gli amici e di giochi nel quartiere. Ma alle medie sono cominciati i problemi di bullismo. «Quando sei piccolo, la gente dice “che bel pacioccone”, è simpatico. E a mia madre dicevano che aumentando di statura, l’obesità sarebbe rientrata», racconta. Ma non è accaduto… «Così non ho finito le medie, per tutto quello che mi dicevano e i colpi che mi davano i compagni».
L’adolescente Juan Pedro era appassionato di motori e camion, come il nonno paterno, e di musica, come quello materno. Lo studio da autodidatta della chitarra è stato un rifugio. Fino all’incidente che precipitò la situazione, con l’aumento di peso fino a quasi 6 quintali, una polmonite che lo costrinse a respirare con bombole d’ossigeno e il coma. «Non sappiamo come mai – spiega –. Il corpo ha continuato a gonfiarsi fino a dire “basta”, e a quanto pare la sua protezione è stata «farmi dormire». Ma l’aver toccato il fondo ha coinciso con l’aprirsi di nuove possibilità per risalire dal pozzo. Un’équipe medica dell’ospedale di Guadalajara si interessò del suo caso, davvero complesso. Con quella mole, erano allo stremo sia polmoni che l’apparato respiratorio, quello circolatorio, quello digestivo… con ipertensione, diabete e ipotiroidismo. Ma decisero di provarci. I risultati si vedono oggi a occhio nudo, e Juan Pedro, che intanto si è trasferito vicino a quell’ospedale, li sintetizza così: «Adesso siamo a Guadalajara e viviamo un sogno». La loro casa è un attività costante, tra l’impacchettamento dei dolci di muesli casarecci del papà, la tessitura della mamma e la vendita diretta dei prodotti sulla porta della casa di sciarpe e “alegrías”, biscotti con semi e miele.
Una menzione speciale va a mamma Maria: «Non c’è modo di ringraziare mia madre di ciò che fa per noi. Forse, un giorno, potrò far sì che non debba più lavorare. E forse, un giorno, sarò io a prendermi cura di lei». Maria annuisce e ricorda gli innumerevoli tentativi infruttuosi fatti durante l’infanzia per frenare il suo aumento di peso che pareva non finisse mai. Uno dei pochi momenti in cui scompare il sorriso dal volto di Juan Pedro è quando conferma – e accetta – che la discriminazione, lo voglia o no, fa e farà sempre parte della sua vita. «Non dovrebbe essere così, però impari a vivere con la discriminazione, perché succede molto spesso. Trovare casa a Guadalajara non è stato facile, perché in varie occasioni, quando il proprietario veniva a sapere che era per lui, adduceva qualche scusa». E ricorda, ad esempio, quando si recava al ristorante e non trovava un posto dove sedersi, o gli si negava un posto di lavoro perché l’azienda non voleva rischiare che mancasse spesso per malattia.
Ovviamente, anche trovare di che vestirsi è un’impresa. Ma la mette sul ridere. «Vado in un negozio e mi chiedono: “Che taglia? Quante X?”. E io rispondo: “Beh… tutte!”». Secondo i medici, è questo senso dello humor che sta aiutando Juan Pedro nella sua convalescenza. Non è stato tutto rose e fiori anche in questo. Non sono mancati tempi neri, con forti depressioni, ammette lui. Ad Aguascalientes, spesso passava i giorni dormendo, con le persiane e le tende chiuse. «Per questo, tessere mi allevia la pressione di stare rinchiuso tra quattro pareti – rivela –. È difficile tenere la mente equilibrata con i cambi fisici che sto vivendo, ma mi ci metto d’impegno». In un video su Facebook spiega come amministra l’ansia della quasi immobilità e delle porzioni di cibo ridotte a un quarto. «Mantenere la mente occupata», in attività, è la sua salvezza. Lo aiuta anche il fedelissimo amico Barbas, il suo cagnolino inseparabile.
Il Messico è uno dei paesi al mondo con i maggiori indici di obesità. Il recordman precedente, era anche lui messicano. Per questo, Juan Pedro consiglia a tutti di farsi aiutare dai medici. «Per questo io ho chiesto aiuto. Non bisogna gettare la spugna». E il Guinness? L’ha vissuto con sentimenti contrastanti, ma ne ha saputo trarre beneficio, grazie a Facebook: El hombre más obeso del mundo. «Sono grato del fatto che abbiano rivolto a me la loro attenzione, ma non mi sento orgoglioso – confida –. Se fosse per altri motivi… Ma il riconoscimento mi ricorda l’impegno che ho con me stesso e con la gente di continuare a lottare con entusiasmo e dimostrare che “si può”. Se con il mio caso ci sono persone che possono trovare un punto di appoggio per venire fuori dal loro pozzo, è la cosa migliore che posso dare loro», dice con semplicità. In questo caso, benedetti social network: sono più di 1.800 i suoi follower. «Nulla è perduto, nessuna battaglia è persa fin quando non è finita». È un messaggio contundente, perché viene da un lottatore della vita a cui la battaglia non ha rubato la serenità.
L’intervista con Juan Pedro:
https://www.facebook.com/El-hombre-m%C3%A1s-obeso-del-mundo-149845335569959/?pnref=lhc