Joss & Amy: nere come il pane
Sembrano tornati i tempi d’oro per il buon vecchio rhythm’n’blues. Anche se oggi i deejay lo chiamano semplicemente ar-and-bi, e col termine vanno ad indicare chiunque s’abbeveri alle sacre fonti dei maestri primigeni, da Stevie Wonder e James Brown, ad Aretha Franklin e Diana Ross. Il successo di un film come Dreamgirls (ne abbiamo parlato sul nº 3) la dice lunga. In effetti districarsi tra le mille galassie della black-music contemporanea è impresa tutt’altro che facile, anche perché i confini tra il blues primigenio, soul, funky, blackpop, vintage hip-hop, e rhythm’n’blues sono sempre più labili. La cosa curiosa è che in questa stagione due tra i dischi più interessanti partoriti da questo ruggente revival siano firmati da due inglesine bianche come il pane. Joss Stone è nata a Dover giusto vent’anni fa, nell’aprile dell’87. Cresciuta nelle campagne del Devonshire, la biondina è esplosa quando aveva appena sedici anni con un album che sembrava fatto da una veterana, tanta energia e intensità sprizzava dai solchi. Da allora ha continuato a crescere in età, sapienza e grinta (chi l’ha vista nell’ospitata sanremese lo sa bene), e il recentissimo Introducing Joss Stone (Virgin) è già il suo terzo lavoro. Amy di anni ne ha appena qualcuno di più: ventiquattro. Londinese originaria del Middlesex, pure lei ha una voce che pare saltar fuori da un fumoso piano-bar di Detroit. Il recente Back to Black (Universal) è il suo secondo album. Rispetto a Joss, la brunetta tira più verso il jazz e il cantautorato; ma se le sue canzoni hanno un approccio più retrò, non per questo sono meno intense e passionali. Amy del resto ha caratterino scorbutico e un’aura vagamente maudit che ben s’attaglia alla sua poetica inquieta. Rime scontrose che sposano perfettamente le sonorità agrodolci di canzoni che sembrano appartenere ad un vinile di quarant’anni fa (durata compresa…). Joss è più solare, oltreché più vicina ai canoni della black music funkeggiante e rockettara dei Settanta. Non ha la lingua biforcuta di Amy, né problemi anoressici o d’alcolismo della collega; ma è anche lei lontana anni luce dalle tante Barbie plastificate che intasano lo star-system odierno. In altre parole le due incarnano perfettamente l’ambivalenza – e a tratti anche l’ambiguità – di un genere che è ormai da annoverarsi tra i classici del Novecento. E che funzioni così bene anche tra i bagliori di questo nuovo Millennio fa aggiungere almeno altre tre considerazioni: è possibile attingere dal passato senza fare del mero riciclaggio; è sempre meglio una vecchia buona idea che una nuova bruttina; oggi è maledettamente difficile innovare, a meno che non si voglia recludersi nei ghetti delle avanguardie autoreferenziali. Joss e Amy, per quanto così giovani, lo sanno benissimo, e come tutte le stelle dell’internazional- popolare hanno imparato in fretta: i trucchi dell’arte, e anche quelli del mestiere. CD Novità Good Charlotte Good morning revival (Sony-Bmg) Rock bello tosto per questo gruppo del Maryland, un tempo orgogliosamente selvatico, oggi trasumante verso i lidi del mainstream. AA.VV. We all love Ennio Morricone ( Sony-Bmg) Fresco d’Oscar alla carriera, il Maestro sfodera i suoi pezzi forti con l’entusiastico supporto d’uno stuolo di mammasantissima. Nel segno d’una trasversalità stilistica ai limiti del delirio: dal miele di Celine Dion, all’arsenico dei Metallica, frullando il belcanto di Bocelli, la rusticità di Springsteen, e i modernismi di Quincy Jones ed Herbie Hancock. Se ci aggiungete la Bahia di Daniela Mercury, il jazz di Chris Botti, il Portogallo di Dulce Pontes, e l’enfasi progressive di un Roger Waters, avrete l’idea di quanto – e quanti – l’arte di Morricone abbia saputo ammaliare.