Joseph Beuys e la battaglia romantica
Al Pav di Torino, in occasione della trentennale scomparsa di Joseph Beuys, il curatore Marco Scotini rende omaggio sino al 19 marzo 2017 alla battaglia romantica che si trasforma in praxis e in rivoluzione politica. L’aforisma del 1971 La Rivoluzione siamo noi incarna l’unione arte/vita non più sognata in senso romantico, ma agita da uno Sturm capace di scolpire le dinamiche sociali nelle quali l’uomo Beuys si trova coinvolto, «esattamente come potrebbe fare uno scultore con le sue creazioni plastiche».
Nel silenzio assoluto, per denunciare le torture del regime turco, Joseph nel 1979 realizza una performance di fronte all’ ambasciata di Bonn. Nel silenzio assoluto viene rovesciata un’infinita quantità di sangue sul suolo a memoria delle vittime di un paese membro della NATO. Joseph all’improvviso si alza lento e afferma Das ist Praxis.
Raccoglie un garofano, uno fra i tanti e traccia polemicamente la scritta NATO. Sturm Und Drang diviene attraverso Joseph impegno politico, fondazione della F.I.U., la Libera Università Internazionale e del partito tedesco dei Verdi, insieme a Heinrich Boll e Petra Kelly per riscoprire i presupposti originari steineriani della Costituzione, educare ai valori ancestrali del disarmo totale, della creatività, espressioni di libertà e di autodeterminazione dell’uomo.
Joseph esprime le sue battaglie attraverso l’ironia, lo humor e la satira. L’ espressione divertita tra i poliziotti dopo l’occupazione del 1973 degli uffici della segreteria dell’Accademia di Dusseldorf è volutamente immortalata da Bernard Nanninga. Le forme coercitive lo fanno sorridere al posto che preoccupare.
Joseph svela con Socrate l’inadeguato e il limite attraverso l’ironico, con Kierkegaard è “spinto ad agire nel mondo che lo circonda” attraverso lo humor che si radica su ancestrali certezze. L’adesione pop, la collaborazione con Wahrol, l’ironia di Hamilton in tutte le sue performances, come nella sua partecipazione all’esecuzione della canzonetta del 1982 “Sonne stat Reagan”, “il sole anziché la pioggia”, “il sole anziché Reagan”, tutta satira politica contro gli Usa, “per vivere senza armi”, ma è essa stessa trascesa.
Joseph, agitato dallo “Sturm” come nella foto del 1982 di Baby Durini, ripreso di schiena, allude al “Viandante sul mare di nebbia” del romantico Friedrich Kaspar, esprime un’idea di natura non più pensata come semplice sogno o idea, quanto piuttosto come recupero del vissuto primigenio o poetica dell’inespresso, della trilogia “Quatsi” di Godfrey Reggio, in un silenzio assoluto.
Il suo progetto più interessante, la performance “I like America and America likes me” del 1974 riprende questo: l’assoluto silenzio e la dimensione spirituale più pura, l’anima in armonia con il kòsmos . Joseph contesta l’American dream. Nel suo primo viaggio a New York, in una delle stanze della galleria René Block, realizza uno dei suoi messaggi più forti che hanno segnato la storia dell’arte.
Per tre giorni, avvolto in una coperta di feltro, ricoperto di grasso, come tra i nomadi che lo hanno salvato dalla sciagura aerea, condivide lo spazio con un coyote, nel quale identifica lo spirito americano dei nativi, il contatto più autentico con la natura e con l’io. Celebra l’evento traumatico della trasformazione da pilota di caccia nazista ad artista che si serve dello stesso materiale semplice che lo ha protetto e salvato dalla morte certa tra i nomadi. Si muove come in una danza di avvicinamento, recupera il linguaggio dell’animale.
Questa è l’unica espressione dell’America di cui vuole fare parte nel silenzio assoluto. Evita di toccare il suolo statunitense per la contestazione politica della guerra del Vietnam e si fa trasportare dall’ aeroporto sino alla galleria René Block disteso su una barella. “Voglio isolarmi- dichiara Joseph-, preservarmi, non vedere nulla dell’America se non il coyote”.