Johnson e la Brexit a ogni costo
Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha presentato una nuova proposta alla Commissione europea in vista del 31 ottobre, giorno nel quale l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (UE) potrebbe avvenire anche senza un accordo. Johnson lo ha dichiarato a Manchester, nel corso di un congresso dei Tory, il partito conservatore da lui stesso guidato, che lo ha acclamato festoso, anche perché molti vedono in lui l’unico modo per risollevare le sorti del partito che, del resto, secondo i dati messi a disposizione, conta oggi su 189.000 iscritti (con un forte incremento rispetto ai 130.000 dello scorso anno).
Il motto adottato dai conservatori, Get Brexit done (concludere la Brexit), non lascerebbe incertezze. Ma non è così. Johnson ritiene che sua proposta sia un compromesso costruttivo per Bruxelles, una proposta che soddisfa entrambe le parti. In particolare, il Regno Unito avrà forme di controllo doganale, ma non ripristinerà in alcuna circostanza il confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, così da conformarsi agli accordi di pace del Venerdì Santo del 10 aprile del 1998, che sancivano l’abolizione dei controlli al confine tra i due paesi. Invece, l’Irlanda ha già fatto sapere di non ritenere valida la proposta.
Secondo Jhonson, l’accordo permetterà al Regno Unito di riprendere il controllo delle proprie leggi, del proprio denaro e dei propri confini. Un’opportunità, quindi, secondo il leader dei Tory.
Jean Claude Juncker, presidente uscente della Commissione europea, si è limitato a definire positivi gli avanzamenti nella nuova proposta sulla Brexit presentata da Johnson, evidenziando però ancora alcuni punti problematici, in particolare sul backstop – che nell’accordo Brexit siglato da Theresa May implicava, tra l’altro, la permanenza del Regno Unito in un’unione doganale con l’Ue – per il quale è necessario preservare il delicato equilibrio delineatosi con l’accordo di pace con l’Irlanda del Nord, esprimendo timori sulla necessità di sostanziali regole doganali.
Johnson si è rivolto a Juncker con un tono che sembra quasi minaccioso, dicendo che «se non riusciamo a raggiungere [un accordo], ciò rappresenterebbe un fallimento dell’arte di governare di cui saremmo tutti responsabili. I nostri predecessori hanno affrontato problemi più difficili: possiamo sicuramente risolvere questo».
Johnson ha manifestato la sua intenzione di chiedere alla regina Elisabetta II una nuova sospensione del Parlamento, dalla sera di martedì 8 ottobre a lunedì 14, quando la regina pronuncerà il suo discorso con il programma del governo, discorso che è possibile pronunciare solo dopo una sospensione del Parlamento.
Non è ancora chiaro cosa accadrà il 31 ottobre, anche perché secondo una legge approvata dal Parlamento britannico a l’inizio di settembre se non si raggiunge un accordo entro il 19 ottobre, il governo deve richiedere un rinvio dell’uscita della Gran Bretagna dal blocco europeo fino al 31 gennaio.