John Henry Newman, dare ragione della fede
Grande filosofo e teologo (Londra 1801 - Edgbaston 1890), membro dell’Oratorio di Birmingham, cardinale, proclamato beato da Benedetto XVI nel 2010. Un punto di riferimento sicuro per il cristianesimo europeo
Quando nel 1862 John Henry Newman lesse il libretto di un noto scrittore, Charles Kingsley, si allarmò. Il titolo diceva “Cosa intende in fin dei conti il Dr. Newman?”. Vi si ripeteva un’affermazione già fatta precedentemente: che “la verità, come tale, non è mai stata una virtù del clero romano”. Le implicazioni erano ovvie: l’esponente del Movimento di Oxford, convertito al cattolicesimo, John Henry Newman, era stato segretamente un cattolico molto tempo prima del suo ingresso nella Chiesa cattolica nel 1845!
Newman si sentì profondamene ferito da quell’insulto rivolto ai sacerdoti cattolici. Così scrisse la sua autobiografia. Considerava una “pesante prova” sentirsi in qualche modo costretto a farlo. Kingsley in un certo senso gli chiedeva conto del suo “valore”. E, dopo quasi un secolo e mezzo, per l’Europa occidentale di oggi, qual è il “valore” di Newman? Con questo breve saggio vorrei suggerire un inizio di risposta a questa domanda.
Il dono di toccare i cuori
Durante la sua vita Newman ebbe il dono di toccare i cuori della gente. Forse fu questa esperienza, vissuta per oltre 60 anni come parroco, tutore, professore universitario e predicatore, che permise a Newman di cogliere ciò che è essenziale. Scrisse: “Il cristianesimo ci porta in un mondo nuovo – un mondo di irresistibile interesse, delle visioni più sublimi e dei sentimenti più teneri e puri”[1]. Questo semplice messaggio poteva convertire ed elevare: “Gloria, scienza, conoscenza, e quant’altri bei nomi possiamo usare, non hanno mai guarito un cuore ferito, né cambiato un peccatore”[2].
Coloro che lo ascoltarono nella chiesa di Santa Maria Vergine, durante la sua permanenza ad Oxford, non hanno più dimenticato le sue parole. William Lockart scrive: “I discorsi di Newman ci raggiungevano come fossero una nuova rivelazione. Egli aveva il meraviglioso e soprannaturale potere di elevare la mente a Dio e di imprimere profondamente in noi una convinzione personale di Dio, e un senso della sua Presenza”[3].
Un testimone ricorda queste parole che caddero come un fulmine sugli ascoltatori: “Vi chiedo ora di considerare che quel volto, così orribilmente percosso, era il volto di Dio stesso; la fronte insanguinata per le spine, il corpo sacro esposto alla vista e lacerato dalla flagellazione, le mani inchiodate alla croce, e poi, il fianco squarciato dalla spada; ciò che la folla delirante guardava era il sangue, la sacra carne, le mani, le tempie, il costato e i piedi di Dio stesso”[4]. Ma fu la testimonianza di una donna irlandese analfabeta che, essendo fuggita dalla carestia aveva trascorso il resto della sua vita in Birmingham, che colpì maggiormente questo studioso di Newman. La donna, come ricordano i sacerdoti dell’Oratorio di Birmingham, ripeteva spesso: “Padre Newman! Oh, come era capace di sollevare i nostri cuori!”.
Alla luce di questo fatto, testimoniato anche da tante altre persone, non stupisce che, quando nel 1879 Papa Leone XIII lo elesse cardinale, Newman avesse scelto come motto: Cor ad cor loquitur, cuore parla al cuore. Aveva trovato questo motto in san Francesco di Sales, patrono degli scrittori e giornalisti.
Un caso nell’Europa Occidentale: l’Irlanda di oggi.
“L’Irlanda si trova di fronte a un bivio”: Giovanni Paolo II disse queste parole nel 1979 mentre era in procinto di partire dall’Irlanda[5]. Nell’euforia del momento non vi prestammo attenzione, e ancor meno lo seguimmo. Ma da quel giorno il dramma che ha manifestato la verità delle parole del Papa si è dispiegato davanti ai nostri occhi. Basti pensare allo scandalo della pedofilia, alla corruzione delle banche, alle truffe economiche. Le conseguenze sono ormai conosciute da tutti e sono documentate da varie inchieste. Una specie di tsunami spirituale e morale ha investito l’Irlanda, portando rovina e sconcerto nelle persone.
Cosa fare? Mi pare che sia necessaria una nuova evangelizzazione del nostro popolo: all’inizio del terzo millennio la Parola del Dio vivente deve essere annunciata al cuore degli uomini e delle donne irlandesi in un modo appropriato ai loro bisogni e secondo la capacità degli evangelizzatori! La Parola di Dio ha la grazia di toccare le menti e i cuori, riempiendoli con la sua luce e potenza. Tuttavia solamente gli uomini e le donne nel cui cuore brucia la Parola di Dio saranno capaci di svolgere con successo questa missione. Non esagerava sant’Agostino, uno degli ispiratori di Newman fra i Padri della Chiesa che formavano sempre il suo “paradiso di delizie”[6], quando scrisse: “Solo colui che porta gioia al cuore lo nutre veramente”. O, nelle parole di un recente laureato al Collegio San Patrick di Maynooth: “Noi conosciamo veramente solo ciò che il cuore ama”. Newman si chiede in un passo fondamentale del suo classico lavoro su fede e ragione: posso credere ai sensazionali e affascinanti misteri del regno di Dio “come se li vedessi”?[7]. Egli rispondeva affermativamente, a condizione però che si viva di queste verità di fede.
Qual era il segreto della forza evangelizzatrice di Newman? Era proprio il suo incontro personale con la Parola del Dio vivente, che ne aveva trasformato la vita. Anche se era stato formato al gusto della lettura della Bibbia, non ebbe delle decise convinzioni religiose fino all’età di quindici anni. Egli stesso racconta cosa gli accadde quando lesse ancora adolescente alcuni libri che un insegnante gli aveva prestato per le vacanze estive: “Ricevetti nella mia mente come delle impronte del dogma che, per la misericordia di Dio, non si sono mai cancellate o oscurate”. Di conseguenza, “dall’età di quindici anni, il dogma è stato il principio fondamentale della mia religione: non conosco altra religione; non posso penetrare l’idea di alcun’altra religione; per me una religione come puro sentimento è un sogno e una beffa. Proprio come non ci può essere amore filiale se non c’è un padre, allo stesso modo non può esserci devozione senza la realtà di un Essere Supremo”[8]. Ciò che egli aveva visto con i suoi occhi e aveva toccato con le sue mani desiderava farlo conoscere agli altri perché la loro gioia fosse grande (cf. 1 Gv 1, 1-3).
“Quel nuovo linguaggio che Cristo ci ha portato”
Il “principio dogmatico” è costitutivo del cristianesimo, proprio come la coscienza è costitutiva della persona umana. Ma c’è di più: cosa dobbiamo fare in pratica di queste grandi verità comunicateci benevolmente nella rivelazione e accettate con il dono della fede divina? È sufficiente un “assenso nozionale”? Newman si pone questa domanda lungo tutta la sua opera classica su fede e vita: A Grammar of Assent. Come dimostra l’esperienza sia personale che sociale o storica, è facile dimenticare quelle verità e tornarsene a casaper godersi un tè, come se nulla fosse successo.
La biografia di Newman ci dà la risposta: ispirato dall’insegnamento spirituale di Thomas Scott, uno scrittore a sua volta influenzato da John Calvin, egli aveva fatto la scelta della sua vita: “Santità piuttosto di tranquillità”[9]. Egli avrebbe posto alla base della sua vita queste verità. L’obbedienza alla Parola è la verifica, non la riflessione intellettuale e neppure “un’atmosfera spirituale del cuore” di chi vuole essere ”spirituale” per non dover essere “religioso”: “La verità di una cosa non serve per essere detta, ma per essere fatta, per conformarsi ad essa, per farla diventare nostra interiormente”[10].
Ed eccoci vicini al Newman anglicano e cattolico: “Non è facile – spiega – imparare quella nuova lingua che Cristo ci ha portato. Egli ha interpretato ogni cosa per noi in una maniera nuova… Cerca di imparare questa lingua. Non tentare di impararla a memoria o di usarla come una cosa ovvia. Cerca di capire ciò che dici. Il tempo è breve, l’eternità è lunga; Dio è grande, l’uomo è debole; egli sta fra paradiso e inferno; Cristo è il suo Salvatore; Cristo ha sofferto per lui. Lo Spirito Santo lo santifica; il pentimento lo purifica, la fede lo giustifica, le opere salvano. Queste sono verità solenni… che devono essere poste nel cuore”[11]. Newman propone una verifica molto concreta per stabilire se ci troviamo sulla via che porta alla vita: “Voglio un uomo che da una parte professi con le labbra la propria immortalità, e dall’altra che viva come se cercasse di comprendere le sue proprie parole: allora egli sarà sulla via della salvezza”[12].
Fare la scelta di Dio oggi
Pur correndo il rischio di generalizzare, si può dire che in modo particolare dalla conclusione del Vaticano II in poi si è tentato di predicare il Vangelo di Dio come amore. Tuttavia, la tendenza è stata quella di tradurre questo amore in progetti molto gratificanti in favore dei poveri vicini e lontani. Si è trattato in larga misura di vivere il secondo comandamento, “il Vangelo sociale” come qualcuno lo chiama. Ma cosa dire del primo e più grande comandamento, di amare Dio “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente” (Lc 10, 27; Dt 6, 5)? Sembra che il suo amore sia diventato sempre di piùil pretesto per fare ciò che vogliamo. Dio, benevolo e comprensivo, appare in una parola: permissivo. Ci permette di scegliere le verità che ci piacciono e di mettere da parte quelle più impegnative. E nella sfera dei comportamenti morali ci lascia ancora maggior spazio.
Il risultato è un grandissimo paradosso: un popolo, per molti versi generoso, ha però paura del Vangelo dell’amore di Dio, “ timoroso che avendo Lui non gli resti vicino niente altro” (Francis Thompson). Se si dovesse credere ai sondaggi, sembrerebbe che i cuori degli irlandesi siano diventati meno disponibili a ricevere il Dio di Gesù Cristo. Il suo posto è stato preso da una contraffazione che già Karl Rahner identificò come “orizzontalismo”[13]. La fede cristiana, però, deve rimanere fedele a se stessa, dato che, come Benedetto XVI ha sottolineato nella sua prima enciclica, “essere cristiani non è il risultato di una scelta etica o di una bella idea, ma è l’incontro con un evento, una persona, che dà vita ad un nuovo orizzonte e a una precisa direzione” (DCE 1). Il compito della Chiesa in Europa consiste oggi nel promuovere questo incontro in ogni modo possibile.
La grande separazione tra fede e ragione
Una dimensione ulteriore della “religione illusoria” fu identificata da Newman in alcune forze storiche e idee culturali del suo tempo. Egli lesse alcuni tra i deisti francesi, come Voltaire, quando era ancora adolescente! Servirono a metterlo in guardia sulla realtà di “un movimento intellettuale religione anti-religioso, tanto forte da imporsi all’attenzione di tutti i Cristiani colti”[14]. Christopher Dawson, l’eminente filosofo della storia e storico della cultura europea, ha descritto quel movimento come “il movimento del secolarismo progressivo che divenne la forza dominante nella civiltà del diciannovesimo secolo e modellò il mondo in cui viviamo oggi. Nella forma in cui egli lo incontrò all’inizio, nelle idee di uomini come Peel, Brougham e Maculay, non era né un movimento rivoluzionario né anti-religioso. Sosteneva la tolleranza religiosa, la diffusione della conoscenza utile, della riforma sociale e del progresso economico. Tuttavia, dietro gli innocui luoghi comuni di Sir Robert Peel e Dr. Hampdem, Newman percepì la costante pressione della marea che avrebbe travolto, come egli affermava quarant’anni dopo, ‘quella bella impalcatura di società che è frutto del cristianesimo’”[15].
Forse il secondo grande tema della lunga vita di Newman, dopo la scoperta della Parola vivente e della sua comunicazione, fu la giustificazione della fede. Le scienze emergenti imposero la loro metodologia e critica ad ogni conoscenza. Ne scaturì la conseguenza che fede e religione erano “poco scientifiche”, anzi “pre-scientifiche”, e potevano ambedue essere spinte senza rischio ai margini della società, e parcheggiate lì. Newman vide questa separazione di fede e ragione come la più importante sfida della sua vita che lo spinse a comporre due dei più grandi lavori della sua vita: The Oxford University Sermons e A Grammar of Assent. Spese venti anni della sua vita per ciascuno di questi volumi. Il suo obiettivo fu quello di giustificare la fede dei credenti: essa, anche se dono della grazia, è pur sempre in armonia con il nostro più profondo raziocinio ed è per se stessa una forma di “raziocinio attivato dalla grazia”. Va notato che nella sua enciclica Fides et ratio (1998) Giovanni Paolo II cita Newman come il primo fra diversi autori che “nell’ambito occidentale” hanno favorito, nel periodo moderno, “il fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio” (n. 74).
Newman si è opposto in tutta la sua vita al relativismo dottrinale, come ci spiega nel suo Biglietto Speech,in occasione della sua elevazione a cardinale. Chiamava quel relativismo “liberalismo religioso”: “Secondo quel modo di vedere, le verità della fede e della morale sono in realtà semplici opinioni sostenute da gruppi di persone. La scienza è ragionata, mentre la fede è questione di sentimento e di emozione. La scienza implica un ‘ragionamento forte’, mentre la fede è un ragionamento debole”[16]. La fede è fuori dal regno della ragione o dell’evidenza. È una questione privata e come tale deve essere tenuta fuori dalla pubblica piazza. Con il fallimento della Università Cattolica di Newman – che intendeva promuovere la formazione di un colto laicato cattolico – e con la particolare situazione dei cattolici irlandesi di carestia e di migrazione, di lotta e di guerra per la terra, la cultura cattolica che emerse alla fine del ventesimo secolo tendeva infatti ad essere devozionale, piuttosto che essere sostenuta da un solido pensiero.
Nella seconda metà del ventesimo secolo, i cattolici irlandesi progredirono nell’apprendimento delle scienze e delle discipline umane, ma non nella teologia, che divenne un campo riservato a quanti si preparavano al sacerdozio. Essi non vennero abilitati, e neanche invitati, a divenire cattolici “pensanti”, capaci di dare ragione della speranza che era in loro e della loro vita di fede (cf. 1 Pt 3, 15). Le eccezioni semplicemente confermavano la regola, anche se fra loro si possono contare eminenti figure di poeti come Patrick Kavanagh e Sean O Riordàin, di educatori come il vescovo Birch di Ossory e Fergal McGrath, sj.
In conclusione
I cattolici devono essere capaci di dare ragione della loro speranza. A questo scopo è un imperativo “conoscere”, in senso biblico, il Cristo crocifisso e risorto proprio nelle nuove circostanze dell’Europa all’inizio del nuovo millennio. La testimonianza è fondamentale: nella misura in cui i cristiani vivranno nel loro cuore la fede con maggiore radicalità, l’accoglienza della religione crescerà anche nella società. Questo “sì” al Signore e al suo Vangelo ne rappresenta l’indispensabile fondamento. Karl Rahner ha scritto che i cristiani del futuro dovranno essere dei mistici, oppure non esisteranno affatto. Penso che John Henry Newman sarebbe stato sostanzialmente d’accordo con questa affermazione[17].
In secondo luogo, i cristiani dell’Europa occidentale devono conoscere la loro fede e comprendere che Gesù è la rivelazione del Padre e la chiave del mistero della persona umana, come ha sottolineato il Vaticano II (cf. GS 22). Devono riconoscere sia la “divinità” che la “umanità” della loro fede, una fede nata dall’incontro con il Dio-Uomo.
Questo è ciò per cui ha lottato John Henry Newman. A metà del diciannovesimo secolo egli pubblicò un identikit del fedele, ispirato dalla sua lettura dei Padri e dalla sua profonda conoscenza della Chiesa dei primi secoli. In Lectures on the Present Position of Catholics in England, Newman scrisse: “Ciò di cui io lamento la mancanza nei cattolici è il dono di esprimere cosa sia la loro religione. Voglio un laicato colto, intelligente, ben istruito; non nego che lo siate già: ma intendo essere severo e, come qualcuno direbbe, esorbitante nelle mie domande. Desidero che allarghiate la vostra conoscenza, coltiviate il vostro intelletto, che riusciate a discernere il rapporto di una verità con l’altra… a comprendere come fede e ragione si relazionano reciprocamente, quali sono le basi e i principi del cattolicesimo. Il laicato è sempre stato la misura dello spirito cattolico: ha salvato la Chiesa in Irlanda tre secoli fa, come pure ha tradito la Chiesa in Inghilterra”[18].
I laici salveranno ancora la Chiesa se semplicemente ascolteranno la Buona Notizia di Gesù Cristo e se avranno l’audacia di annunciare “la parola di Dio” (Rm 10, 8) a tutti coloro che la chiederanno nelle circostanze così rapidamente mutevoli della moderna Europa.
[1] Essays Critical and Historical, vol. I, p. 23. Le citazioni dei lavori di John Henry Newman sono dall’edizione unificata pubblicata a Londra tra il 1861 e il 1891 da Longmans, Green and Co., salvo altre indicazioni.
[2] Discussions and Arguments, p. 270.
[3] W. Lockhart, Cardinal Newman, London 1891, pp. 25-26.
[4] Parochial Plain Sermons, VI, 74.
[5] Cf. Giovanni Paolo II, The Pope in Ireland. Addresses and Homilies, Dublin 1979, pp. 77-78.
[6] Difficulties of Anglicans, vol. I, p. 370.
[7] A Grammar of Assent, p. 99.
[8] Apologia, 4, p. 49.
[9] Ibid., p. 19.
[10] PPS, V, 45.
[11] Ibid., pp. 44-45; cf. anche la conclusione di An Essay on the Development of Christian Doctrine, forse il maggiore lavoro teologico, che rimane un classico su questo tema.
[12] PPP, I, 24.
[13] K. Rahner, Theological Investigations, vol. 14, London 1976, pp. 295-310.
[14] Stray Essays on Controversial Points, London 1890, p. 104.
[15] C. Dawson, The Spirit of the Oxford Movement and Newman’s Place in History, London 2001, pp. 149-150.
[16] Oxford University Sermons, p. 202.
[17] Cf. Catholic Sermons, London 1957, p. 123.
[18] Lectures on the Present Position of Catholics in England, London 1850, pp. 388-391.