Joel Meyerowitz, pioniere del colore
C’è una foto emblematica, fra le tante di Joel Meyerowitz, che esprime bene la caratteristica della street photography. Ed è quella scattata in una via di Parigi che ritrae la scena di un uomo che sviene nella quasi indifferenza totale delle persone che gli stanno attorno. La spontaneità dello scatto, la velocità, l’attenzione alla realtà circostante, il fiuto nel percepire ciò che accade sulla strada, fanno di questa immagine un esempio di quel genere fotografico per sua natura “vagabondo”, veloce, che richiede agilità anche nei movimenti.
Il fotografo newyorkese Meyerowitz (1938) è stato uno dei pionieri della street photography, che, con la sua intuizione, ne ha riscritto i codici linguistici. La sua frase: «Quando tengo la macchina fotografica tra le mani, penso spesso che sia una specie di bacchetta da rabdomante che mi guida», esprime bene il suo approccio e la sua poetica. Meyerowitz va ricordato, soprattutto, per essere stato tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico in un’epoca in cui – siamo negli anni ’60 e ’70 dell’America – era ritenuto un elemento superficiale e uno strumento nelle mani dei fotoamatori, e le riviste erano solite utilizzare immagini in bianco e nero per illustrare gli articoli pubblicati. Grazie alla sua intuizione, anche la carta stampata si converte al colore riconoscendogli una forte capacità di cogliere i momenti della quotidianità che si svolgeva tra le strade delle metropoli, dei grandi temi come la solitudine, l’incomunicabilità, degli scontri e delle proteste sociali, gli avvenimenti politici e sportivi, ma anche momenti di contraddizione, così come di gioia e di entusiasmo nei confronti della vita.
Ambiente perfetto per osservare le vicende della varia umanità che popola la grande città per Meyerowitz, nato nel Bronx, sono le strade di New York. Ma non solo. Sono anche quelle dei paesaggi spagnoli catturate attraverso il filtro del vetro dell’automobile in corsa, e quelle di molte altre città dell’Europa che egli attraversa tra il 1966 e il 1967, viaggiando da Napoli a Malaga, dall’Irlanda alla Bulgaria, alla Germania e al Regno Unito. New York però, è rimasta l’obiettivo dominante della sua vita di fotografo, dai suoi primi lavori degli anni ’60 alle immagini evocative scattate a Ground Zero all’indomani dell’11 settembre.
Cinquanta delle sue fotografie, esposte alla Leica Galerie Milano (via Giuseppe Mengoni 4, fino al 2 aprile 2022) nella mostra curata da Karin Rehn Kaufmann, art director Leica Galleries International, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, ci fanno ripercorrere i periodi più decisivi della sua carriera. Di lui scrive Maurizio Beucci: «Spesso si parla di pionieri in fotografia, ma ciò che va riconosciuto a Meyerowitz è invece un ruolo più simile a quello dell’esploratore. Se da un lato il pioniere si insedia dopo la scoperta, dall’altro Meyerowitz ha invece cambiato continuamente direzione nell’arco della sua straordinaria carriera. Un esploratore in tal senso, un uomo che non appena scoperto un luogo ne ha lasciato agli altri il presidio, cercando la strada per ribellarsi a ogni forma di sospensione artistica o espressiva. Linguaggio, evocazione e poetica del comune restano gli unici tratti persistenti e distintivi del suo fotografare».