Joe, il temerario

Joe Cocker, una delle icone dell'epopea rock se n'è andato. Aveva 70, ma gli eccessi giovanili lo avevano debilitato nel fisico. A stroncarlo, nel suo ranch del Colorado, un cancro ai polmoni contro il quale combatteva da tempo
Cocker

E così anche il grande Joe Cocker, una delle ultime leggende dell'epopea rockettara ci ha lasciato. E subito torna alla mente quella sua mitica esibizione al festival di Woodstock, nell'estate del '69, quella maglietta stinta e grondante di sudore, la capigliatura già rada e scompigliata, e soprattutto quel suo rock blueseggiante e ringhioso col quale sapeva rivestire i grandi classici dell'epica rock, in primis le rilettura delle beatlesiane With a little help fron my friends e She came through the bathroom window, a detta di tutti i critici due dei rarissimi esempi nei quali una cover  risulta decisamente migliore della versione originale. John Robert Cocker era nato artisticamente coi successi dei Beatles, ma aveva una tale personalità vocale da non temere il confronto perfino col quartetto più famoso del pianeta.

Del resto questo figlio sanguigno della working-class dello Yorkshire aveva davvero un'ugola benedetta dal Cielo, capace di ruggiti leonini e di sussurri ammaliatori da vecchio crooner; bianca come il pane, ma all'occorrenza anche nera e profonda come un tombino di Harlem.

Dopo la gavetta nelle band giovanili della sua Sheffield e le sbornie (anche letterali, purtroppo) degli anni  '60 e '70, anche grazie a Woodstock era diventato uno dei rocker più popolari ed amati del mondo, e aveva saputo tener botta con dignità anche nelle decadi seguenti, piazzando ogni tanto qualche altra zampata di gran classe: come la suadente You can leave your hat on (una grande hit a suggellare un filmetto pruriginoso come 9 settimane e mezzo), la splendida pop ballad Up where you belong (dalla colonna sonora di Ufficiale e gentiluomo che gli valse un Grammy) o la possente Unchain my heart, il suo maggior successo degli anni Novanta.

Col nuovo millennio dischi ed apparizioni pubbliche si erano sempre più diradate; nel 2010, dopo un'astinenza durata otto anni, pubblicò un album di inediti intitolato Hard Knocks, e due anni più tardi,Fire it up, destinato a restare l'ultimo capitolo di un'avventura discografica lunga ben quarantacinque anni.

Nonostante l'amico Billy Joel l'avesse recentemente invocato a gran voce, Joe Cocker non ce l'ha fatta ad entrare nell'Olimpo della “Rock'n'Roll Hall of Fame”, ma non c'è dubbio che la sua voce continuerà a risuonare a lungo nelle orecchie degli amanti del rock primigenio, poiché nessuna come la sua era capace di graffi e di carezze, di energia, passione e ruvida dolcezza. Un caposcuola a cui molti devono parecchio per stile e forza comunicativa: da molti sbarbatelli del nuovo soul-blues al nostro Zucchero. Ben arrivato tra gli indimenticabili, caro vecchio Joe.

 

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