Jenùfa trionfa a Roma

Spettacolo di notevole spessore al Teatro dell’Opera. Nuova luce sul lavoro di Janàcek
Jenùfa, Teatro dell’Opera di Roma 2024. Foto di Fabrizio Sansoni
Jenùfa, Teatro dell’Opera di Roma 2024. Foto di Fabrizio Sansoni

Quando si incontrano un direttore di talento come Jurai Valcuha, un regista creativo come Claus Guth e la sua équipe e si ama ciò che si deve rappresentare, il successo è assicurato, complice un cast di cantanti-attori di classe, fra cui la protagonista Cornelia Beskow. È successo questo a Roma.

Jenùfa, Cornelia Beskow. Foto di Fabrizio Sansoni
Jenùfa, Cornelia Beskow. Foto di Fabrizio Sansoni

La vicenda di Jenùfa non è lieta, anche se il finale è speranzoso. Prima bisogna che la ragazza, incinta da parte del giovane Streva, passi attraverso il disprezzo, la solitudine e addirittura l’infanticidio per salvare l’onore. Dramma dunque spezzato, di un realismo spietato, in un certo senso attuale. Del resto l’infanticidio è un topos melodrammatico, da Medea (Cherubini) a Norma (Bellini), a Margherita (Mefistofele e Faust)….

Qui, nel capolavoro assoluto del “realismo slavo” (1904), Janàcek disegna una orchestra stridente che supera le scarne frasi melodiche, si innerva nei dialoghi, li commenta in una tensione costante tra il coro e i personaggi nel dramma del piccolo villaggio boemo. Questa musica arcaica e moderna, folcloristica – le danze – e personale, aggressiva e delicata, dipinge un affresco potente e universale di un ambiente, procedendo per scatti nervosi, cellule melodiche, con l’uso ostinato dello xilofono che scandisce il tempo, una orchestra ruvida e scintillante in questa fiaba-incubo, reale e surreale.

Jenùfa, Cornelia Beskow (Jenùfa) e Karita Mattila (Kostelnicka). Foto di Fabrizio Sansoni
Jenùfa, Cornelia Beskow (Jenùfa) e Karita Mattila (Kostelnicka). Foto di Fabrizio Sansoni

La regia accurata, scenicamente essenziale, incisiva, tra costumi tardo-ottocenteschi e video in un palcoscenico stilizzato, mostra un ambiente oppressivo e carcerario, insieme a momenti visionari dove la paura di essere liberi viene in luce con stringente efficacia sino ad una speranza di libertà.

Spettacolo perfetto nei dettagli, mentre la direzione appassionata e precisissima, senza retorica, ottiene dall’orchestra sonorità pungenti, nuove, di grande colore. Lascia così intatto il fascino di un lavoro anche lunare, crudo, metafisico e moderno, in una edizione da riproporre.

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