Janine Jansen

La giovane e intensa violinista olandese nel "Concerto in re maggiore" di Brahms all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Janine Jansen

Bella, lo è. Ma soprattutto brava. In un periodo in cui dalle cantanti d’opera e dalle strumentiste si esige un look perfetto e grazia fisica, ritenute necessarie per sfondare mediaticamente, la giovane violinista olandese, una star in patria, unisce bellezza a perfezione artistica. Ma, come lei stessa ha affermato, punta a essere un’artista e non una diva dello strumento, al contrario di diverse (e diversi) colleghe.
 
Una star controcorrente, insomma. Certo, interprete di razza lo è. Suona uno Stradivari 1727 e con esso esegue il Concerto in re maggiore di Brahms, a Roma, all’Accademia Nazionale Santa Cecilia. Janine possiede un suono intenso, un senso musicale formidabile: potrebbe anche dirigere un’orchestra, se volesse, a giudicare da come “entra”, accompagna e sostiene il flusso del sinfonismo brahmsiano, le sue architetture possenti e morbide.
 
Brahms è difficile: non è un compositore per violino – fu infatti aiutato dal celebre violinista Joachim – ma un musicista dallo spessore tardoromantico supremo. Fatto di guizzi e di malinconie, di sottintesi, di lacerazioni e di voglia di ridere e sorridere. Insomma, Brahms è complesso. Ma Janine lo affronta d’impeto. I tre tempi del concerto sono un miracolo di scorrevolezza, cantabilità, perizia tecnica. E soprattutto, musica.
 
Sir Tony Pappano si sente felice nel dirigere una concertista così fluente, sensibile, e frena l’istintiva passionalità a far emergere la linea del canto e del virtuosismo. Il violino di Janine allora è tutto luce che gorgoglia su e con l’orchestra. Janine, la prima volta a Roma, ha vinto la sfida.

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