Jacques Fesch luce dal patibolo

Del buon ladrone, pentitosi in punto di morte, sappiamo soltanto, sulla parola di Cristo, che si trova in paradiso. Una tradizione lo nomina Disma, e con tale nome è venerato tra i santi della Chiesa. Di un altro condannato a morte del XX secolo, invece, sappiamo molto, soprattutto molto del suo cammino interiore: è Jacques Fesh, morto di ghigliottina nell’ottobre 1957 all’età di 27 anni. Per lui il cardinal Lustiger, arcivescovo emerito di Parigi, ha avviato il processo di beatificazione. Una recente pubblicazione delle Paoline – Jacques Fesch: l’avventura della fede di un condannato a morte – tratteggia a tutto tondo la figura di quest’uomo inseguito e graziato dall’amore di Dio. Ne è autore Ruggero Francavilla, un religioso carmelitano che ha dedicato parte della sua vita a divulgare la sconvolgente testimonianza di questo convertito. Ma chi era Jacques Fesch? Nato in una famiglia benestante di origine belga a Saint-Germain-en- Laye, a ovest di Parigi, cresce tra un padre ateo dai costumi alquanto liberi e una madre introversa incapace di mitigare l’influsso negativo del marito. Timido e poco espansivo ma dotato di grande sensibilità, vive una giovinezza inquieta senza il sostegno della fede. Per evadere da una società corrotta che per lui è solo fonte di insoddisfazione, progetta di appropriarsi, anche con la forza se necessario, di un’ingente somma da un cambiavalute, amico del padre, per realizzare il suo sogno: acquistare una barca e veleggiare lontano. Ma la sera del 27 febbraio 1954 le cose non vanno come previsto e Jacques, nella confusione della fuga, purtroppo uccide il poliziotto che lo inseguiva: nella corsa aveva perso gli occhiali da miope e aveva sparato all’impazzata attraverso la tasca dell’impermeabile. Così questo giovane ateo scapestrato, sposato e padre di una bambina, viene internato nel carcere parigino della Santé. Qui egli rilegge gli anni della sua esistenza travagliata, riconosce che anche negli sbandamenti della giovinezza inconsciamente ricercava Dio e attraverso l’esperienza del buio e della disperazione, aiutato dal cappellano e dal suo avvocato, ritrova la fede. Questa luce da cui scaturisce una gioia indicibile egli vorrebbe comunicare prima di tutto ai suoi più stretti congiunti, atei o non praticanti: per tre anni, infatti, Jacques ne sarà testimone attraverso lettere e un diario – il Giornale intimo dedicato alla figlioletta Véronique -, senza immaginare che un giorno i suoi scritti, diventati pubblici, verranno meditati alla stregua di testi mistici. La Sacra Scrittura, l’Eucaristia, la passione di Cristo in cui si sente immedesimato diventano il nutrimento del suo cammino. In una lettera alla moglie – anche lei convertita dalla sua testimonianza e sposata con rito religioso in punto di morte – arriva ad affermare, riferendosi a questo evento ormai prossimo: Io non sono nato che per giungere là; fino ad esprimere, nell’ultima notte che precede l’esecuzione, la gioiosa certezza: Fra cinque ore vedrò Gesù. Senza ribellarsi e perdonando tutti Jacques andrà al suo martirio con l’animo leggero di chi sa di essere amato da Dio. Scrive Mario Filippi nella prefazione del libro: La sua avventura umana è esemplare nel farci scoprire come le vicende della vita, anche le più impensate e apparentemente più lontane da ogni logica, rivelano la presenza della mano di Dio che guida i nostri passi e, senza infrangere la nostra libertà, sa volgere ogni cosa al bene: il giovane che sale il patibolo il 1° ottobre 1957 è un essere nuovo e integro come Adamo quando uscì dalle mani di Dio, il mattino dell’ultimo giorno della creazione. L’AMORE, MIA EREDITÀ Così, il 2 agosto 1957, inizia il Giornale intimo che Fesch dedicò alla figlioletta di sei anni. Bambina mia carissima, questo è il mio Giornale, tutto il bene che ti lascio in eredità in mancanza di quei beni che i papà usano donare ai loro figli. Ciò che ho te lo dono per il giorno in cui, divenuta donna, potrai seguire, attraverso queste righe, la vita di colui che fu tuo padre, e che non ha mai cessato un solo istante di amarti. (…) Questo papà che amavi con tutto il tuo cuore da bimba, quando eravamo insieme, e che la tua spensieratezza attuale ti fa ignorare, certamente un giorno ti chiederai chi fosse. (…) Se al termine di queste pagine, riesco a farti toccare con mano ciò che può essere la vita, la vita vera, quella che comincia in questo mondo per schiudersi là dove tutto è luce, se avrai potuto intuire la grandezza e il valore di un’anima e come è di poco conto ciò che si chiama successo terreno, queste righe non saranno vane; e forse tu stessa, un giorno, davanti a Dio sa quale prova, attingerai in questo esempio tanto vicino a te la forza e il coraggio di discernere da quale parte viene la luce. Io vado a morire, bambina mia, e questa è una lunga agonia lucida e fredda. (…) L’intelletto lascerebbe credere che vi sia qualche ipotetica possibilità dell’ultima ora, ma la fede che abita in me e la volontà che mi spinge a fare dono della mia vita, in una pace che il mondo ignora, basterebbero da sole a darmi la certezza sufficiente a non crederlo. Nelle pagine che seguiranno, vorrei farti intuire, quanto più è possibile, la manifestazione della volontà di Dio che per vie impenetrabili conduce un’anima alla luce della vita, il concatenarsi degli atti di cui non discerniamo le connessioni, fino al giorno in cui tutto si compendia nella parola Amore…

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