Jacques Delors, l’Europa non può essere solo mercato
È morto recentemente Jacques Delors, l’ultimo dei padri dell’Europa unita. Presidente della Commissione europea per due mandati, dal 1985 al ’95, ha lasciato le Comunità europee – oggi Unione europea (Ue) – migliori di come le ha trovate al suo arrivo.
Uomo di idee e di riflessioni, aveva creato la Cellula di prospettive, think tank interna alla Commissione. Faceva impazzire collaboratori e commissari sparendo, ogni giorno, dalle 17 alle 19: si ritirava per riflettere con i membri della cellula, a disegnare un futuro possibile per l’integrazione europea.
È così che, dotato di una personalità che gli permetteva di fare il giro delle capitali e proporre i suoi progetti ai capi di stato e di governo – piuttosto che, come è accaduto ai suoi successori, farsi imporre diktat nazionali e cercare equilibristici compromessi –, sono usciti dalla sua iniziativa l’Atto unico europeo, il trattato che ha rilanciato la costruzione europea dopo una profonda fase di euroscetticismo, e il progetto di unione politica e monetaria poi ripreso, in parte, dal Trattato di Maastricht. Quest’ultimo ha creato, con l’euro, l’unione monetaria, almeno tra alcuni stati, ma non l’unione economica, provocando una profonda delusione in Delors, e la situazione di “zoppìa”, denunciata dall’allora presidente italiano Ciampi, che ancora oggi rende problematica la governance dell’eurozona.
Con Delors, non solo si è portato a compimento il progetto di mercato unico, previsto dal trattato CEE nel 1957 ma fino ad allora inattuato, che Delors vedeva a servizio di un obiettivo sociale più ampio – «nessuno si innamora di un mercato comune», soleva dire –. Ma è pure lui che ha promosso nuove politiche, che hanno reso concreta la frase di Jean Monnet, ideatore del processo di integrazione europea: «Noi non coalizziamo degli stati, uniamo degli uomini».
Delors ha infatti sempre avuto ben presente che l’Europa non deve essere, né nei fatti né nella percezione dei suoi cittadini, soltanto un’entità mercantile e liberoscambista, ma deve avere una dimensione sociale e solidale – il mio programma è «la concorrenza che stimola, la cooperazione che rafforza e la solidarietà che unisce», un’altra delle sue celebri frasi.
Due esempi: nel 1986, l’Atto unico ha introdotto, per fronteggiare le disparità tra regioni europee, la politica di coesione economica e sociale, con un’importante dotazione finanziaria, quadruplicata durante le presidenze Delors, politica da lui definita «uno dei pilastri del contratto di matrimonioni tra gli stati membri»; sotto la prima commissione Delors è stato approvato il programma Erasmus, che permette da allora a migliaia di giovani di studiare in un altro stato membro e sentirsi, non in teoria ma gomito a gomito con coetanei di altre nazionalità, cittadino europeo.
Delors ha pure incarnato un’altra frase, leitmotif di Jean Monnet: «Ci sono due tipi di persone, quelli che vogliono essere qualcuno, e quelli che vogliono fare qualcosa. Io appartengo alla seconda categoria».
Come Monnet, Delors è sempre stato a servizio di un’idea e non ha cercato posizioni di prestigio personale. Dopo l’esperienza alla Commissione, il partito socialista francese intendeva candidarlo alla presidenza della Repubblica francese. Delors, popolarissimo in patria, era favorito nei sondaggi. Tuttavia, in un’emozionante e emozionata intervista televisiva, ha spiegato ai suoi concittadini che le circostanze non gli avrebbero permesso, da presidente, di attuare le sue idee. Avrebbe poi continuato, con la sua fondazione Notre Europe, a sostenere il progetto di pace tra i popoli e di prosperità che è l’integrazione europea, senza più ruoli istituzionali.
Per questi motivi – quello che ha fatto e come lo ha fatto – lo considero l’ultimo dei padri dell’Europa unita. Possano le prossime elezioni europee consegnarci dei responsabili delle istituzioni Ue che sappiano raccogliere la sua eredità, riprendendo la sua azione tesa, incessantemente, ad unire gli europei.
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